Finché notte non li separi
Dopo che le giurie del Festival di Cannes 2024 hanno emesso i loro verdetti, decretando il palmarès dell’edizione numero 77, nelle sale italiane continuano ad arrivare pellicole che sono state protagoniste sulla Croisette lo scorso anno. Tra i recuperi figura anche il film vincitore del Premio della Giuria nella sezione Un Certain Regard, ossia Les Meutes di Kamal Lazraq, distribuito da Exit Media dal 6 giugno con il titolo Noir Casablanca dopo che questo aveva avuto l’onere e l’onore di chiudere il 33° FESCAAAL.
Quello alla kermesse milanese è stato dunque un ottimo aperitivo in vista dell’approdo sugli schermi nostrani di un’opera, la prima diretta dallo scrittore marocchino, che mescola senza soluzione di continuità crime e drama per dare dare vita a un racconto notturno, teso e avvincente, in bilico tra cinema di genere e dramma esistenziale. Il film ci trasporta nel cuore di Casablanca e segue la storia di Hassan (Abdellatif Masstouri) un trafficante coinvolto in affari illeciti per conto di Dib (Abdellah Lebkiri), il capo dell’organizzazione criminale locale. Quando il cane di Dib viene ucciso in un brutale combattimento, Hassan viene incaricato di rapire un uomo coinvolto nella morte dell’animale. Deciso a portare a termine il compito assegnatogli, coinvolge suo figlio Issam (Ayoub Elaid). Ma ciò che sembrava un piano ben pianificato si trasforma presto in una notte piena di pericoli e imprevisti, in cui padre e figlio si trovano intrappolati senza sapere cosa li aspetti.
Forte dell’autenticità delle interpretazioni dei suoi attori non professionisti, impreziosito dalla colonna sonora della talentuosa cantautrice francese P.R2B e immerso in una notte buia come la pece tagliata da affilati lampi di luce e neon, Noir Casablanca è un’odissea ansiogena capace di tenere incollati alla poltrona lo spettatore di turno. L’unità e la linearità della narrazione che si sviluppa nell’arco di qualche ora sino all’alba del giorno dopo aumenta in maniera esponenziale la temperatura emotiva, la suspence e il livello di coinvolgimento del fruitore attraverso l’impatto del qui ed ora dettato proprio dal fattore cronologico. Sta in questa capacità di trascinare con sé il pubblico per l’intera durata di una timeline, che sembra una corsa ad ostacoli contro il tempo tra imprevisti e criminali di ogni sorta, il punto di forza di questo meritevole di attenzioni esordio nel lungometraggio di un regista che si era già fatto notare con i pluripremiati cortometraggi realizzati in precedenza (vedi Drari, con cui nel 2011 si è aggiudicato il Secondo Premio della Cinéfondation a Cannes e il Gran Prix al Festival Entrevues di Belfort nello stesso anno).
Il risultato è un film duro e crudo che si lascia però andare lungo il percorso a improvvise gettate di humour con le quali l’autore offre uno sguardo ancora più penetrante sulla società marocchina, tra famiglia, malavita, religione e spiritualità. Questo, insieme a una struttura narrativa stratificata, consente a Lazraq di esplorare tematiche universali come il rapporto padre-figlio in maniera estrema e senza filtri.
Francesco Del Grosso