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The Blessed

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VOTO: 8

Quando si dice: davvero un buon diavolo

Il primo lungometraggio internazionale di questo 38° Fantafestival ha dimostrato di possedere tutti i crismi dell’eccezionalità. Innanzitutto vi è da segnalare una piccola, simpatica novità, voluta da Marcello Rossi e Luca Rocco, che da quest’anno sono anche direttori artistici della storica kermesse romana: a un regista di primo piano del nostrano cinema d’animazione viene infatti richiesto di “adottare” e presentare un’opera di animazione realizzata altrove, che lo abbia colpito per la poetica e per le tecniche utilizzate. Nel 2018 tale compito è spettato a Paolo Gaudio, giovane e talentuoso autore di Fantasticherie di un passeggiatore solitario, tra le altre cose. Scelta azzeccatissima, anche perché Paolo Gaudio, nell’introdurre un lavoro da lui molto apprezzato, ha fornito indicazioni interessantissime e assai stimolanti, che ci hanno aiutato a inquadrare meglio The Blessed (O Bem Aventurado, 2018) del brasiliano Tulio Viaro, già di suo in grado di lasciarci piacevolmente sconcertati, per la matrice così particolare della narrazione come anche per un approccio all’animazione persino più inusuale.

Stando alla scrupolosa testimonianza di Paolo Gaudio, la genesi stessa di The Blessed è da afferire a quella eccezionalità da noi subito riscontrata: pare infatti che il film-maker brasiliano Tulio Viaro, abituato in passato a girare live action, sia stato folgorato dall’animazione proprio al momento di tradurre in immagini una novella dello scrittore russo Leonid Andreiev, dalla cui lettura era rimasto profondamente suggestionato durante l’adolescenza. Fondamentale è stato dunque il sodalizio creatosi con la Duda Paiva Company, ossia con il performer carioca Duda Paiva e con gli altri puppeteers del suo staff, capaci di conferire un’umanità molto vera e dolente alle marionette da loro abilmente maneggiate negli spettacoli. Del resto a chi ha diretto questo film viene attribuita anche una definizione, decisamente calzante, dell’animazione quale luogo della mente in cui vanno a nascondersi le nostre pulsioni più oscure. E visti i toni sulfurei di The Blessed una simile concezione pare quanto mai appropriata.
La prima sequenza è già di per sé una dichiarazione di poetica. Osserviamo il pupazzo di un rapace trasportarne un altro più piccolo, raffigurante nella fattispecie un topolino, fin sul campanile di una chiesa dove campeggia un crocefisso, lungo il quale comincerà a scorrere, con note disturbanti in sottofondo, il sangue della creaturina morta. La videocamera scende giù e comincia a illuminare la parrocchia, frequentata prevalentemente da anziani, che farà da sfondo alla vicenda. Una storia grottesca, paradossale, in cui è un diavoletto confuso, verrebbe da dire “un povero diavolo”, a pedinare ovunque quell’anziano parroco cui si ostina a chiedere consiglio per potersi redimere. Con esiti il più delle volte abbastanza catastrofici…

Il tono surreale e irriverente del racconto si sposa qui con l’abilità degli artisti coinvolti, nel maneggiare e rendere espressive quelle marionette, in primis preti, suore e diavoli, dalla cui stralunata interazione prende forma una sorniona allegoria del nonsense della vita, delle ipocrisie religiose, del senso di colpa e del libero arbitrio. Temi ponderosi, trattati però con una scioltezza narrativa e un’ironia graffiante che rendono assai sapida la visione del film brasiliano; tutto ciò anche in virtù dell’intelligente straniamento provocato dall’apparire in scena di quelle sagome scure, ovvero i puppeteers in azione, la cui stessa funzione di servizio sul palco può far tornare in mente certe consuetudini della tradizione teatrale giapponese, parafrasate nella circostanza attraverso un umorismo estemporaneo e di notevole immediatezza visiva.

Stefano Coccia

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