Diventare donna nella Polonia post comunista
Woman of… di Malgorzata Szumowska e Michal Englert, presentato alla 12ma edizione di CiakPolska Film Festival, è la storia di due trasformazioni, una personale ed una storica, la prima immersa nella realtà della seconda e da questa – per certo verso – condizionata. Un viaggio lungo più di quarant’anni nella vita di Andrzej/Aniela e nella quotidianeità polacca, testimonianza di due difficili ed inevitabili transizioni.
Siamo nella Polonia comunista dei primi anni Ottanta, la caduta del muro e la libertà capitalista sono alle porte ma ancora lontane; Andrzej è un bambino biondo che sente dentro di sé il desiderio di indossare abiti femminili e sa arrampicarsi ovunque, per vedere il mondo da un’altra prospettiva e sentirsi libero dalla prosaicità cui è costretto. Ormai ragazzo, viene scartato dall’esercito perché ritenuto disturbato a causa delle unghie dei piedi laccate di smalto e diventa un operaio tuttofare.
Costretto intrinsecamente da un regime conservatore e dalla morale cattolica, reprime così il suo sentirsi donna, nascondendosi dietro un’apparenza di normalità, finché non si innamora di Izabela. Passano gli anni, ma il matrimonio e due figli non cancellano la realtà interiore di Andrei; il mondo intanto, dal 1989, cambia. Il passaggio della Polonia al sistema capitalista non è indolore, ma apre all’uomo nuove possibilità.
Prendere coscienza di sé e decidere di procedere alla riassegnazione di genere porta con sé rinunce e battaglie; ancor più in un Paese non ancora pronto ad affrontare la realtà di un mondo in divenire. Nella sua transizione per diventare finalmente se stessa, Aniela deve necessariamente rinunciare al matrimonio con Izabela, affrontare un licenziamento inatteso e la mancata accettazione della sua condizione da parte della famiglia. Finanche trovare una nuova sistemazione – dopo esser stato mandato via da casa – non è facile: rifiutato da alberghi e pensioni, troverà rifugio in un convitto di suore che danno asilo a donne bisognose. Woman of… descrive minuziosamente il percorso necessario per la trasizione di genere nella Polonia di ieri, dall’ostilità sottesa del governo alla spesa per i farmaci ormonali interamente a carico del richiedente, fino alla difficoltà di essere riconosciuta donna senza aver ancora effettuato il cambio chirurgico di sesso; metaforicamente, il film allude anche all’incapacità della società polacca di gestire la transizione verso una società più aperta e progressista.
Cinematograficamente, i registi hanno dato al film un’impronta duplice: una prima parte esteticamente luminosa e colorata, con scene di grande impatto fotografico, a ritrarre l’infanzia di Andrzej e la sua vita prima della presa di coscienza concreta, una seconda più cupa e grigia, dai toni di melodramma, per descrivere la tragedia personale di Aniela nella sua transizione di genere. Una drammaticità per certo verso anche esageratamente enfatica, che per esplorare tutti gli aspetti della questione e porre l’accento sulla completa solitudine di chi fa questa scelta mette la protagonista in situazioni al limite del credibile; mentre è nel realismo del punto di vista personale, dalla difficoltà di mantenere saldi i rapporti familiari e personali a quella di iniziare una nuova relazione, dall’ostilità della burocrazia e del governo a la scelta di effettuare o no l’operazione chirurgica per il cambio di sesso, il punto di forza del film della Szumowska e di Englert. Perfetta anche la scelta dei protagonisti: dalla brava Joanna Kulig (Iza) all’ottima prova di Mateusz Wieclawek (il giovane Andrzey) e Malgorzata Hajewska-Krzysztofik (Andrzey/Aniela), per la loro intensità attoriale e la capacità di interpretare un personaggio dalle molte sfaccettature.
Michela Aloisi