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Was Shakespeare English?

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VOTO: 7.5

Un enigma che porta in Italia

Alla produzione letteraria del Bardo di Stratford-upon-Avon (?) il cinematografo ha sempre riservato grande attenzione, un’attenzione che a volte si è tradotta in opere di notevole spessore. Non è stato magari lo stesso con la sua biografia, piena del resto di punti interrogativi. E per restare nel cinema di finzione non ci sentiamo certo di considerare un gran film l’acclamatissimo ma modesto ed effimero Shakespeare in Love (1998) di John Madden…

Il panorama però negli ultimi anni sembra essersi improvvisamente vivacizzato. A metterci un po’ di pepe ci ha pensato nel 2011 il re dei blockbuster Roland Emmerich, che in Anonymous ha riportato in auge, con toni romanzeschi, tesi già avanzate in passato da altri che indicano nell’aristocratico Edward de Vere la vera identità del drammaturgo. In tempi ancora più recenti è arrivato dagli Stati Uniti un documentario, Behind the Name SHAKESPEARE: Power, Lust, Scorn & Scandal, la cui autrice Robin Phillips (attiva sulla scena teatrale dai primi anni ’80) ha ammesso candidamente che è stato proprio il film di Emmerich ad aprirle gli occhi, ispirandole una ricerca più approfondita sulla figura di Edward de Vere. Da qui è nata una produzione documentaria che, diciamolo subito, ci ha convinto pochissimo a livello di impostazione, troppo debitrice dell’estetica (se così vogliamo chiamarla) di internet, cui diversi film-makers guardano ormai con aspettative francamente eccessive. Dal mare di informazioni catapultate sugli spettatori, poi, la pars destruens del discorso emerge di sicuro con maggior brillantezza, rispetto alla pars costruens. Nel senso che la Phillips ci è parsa più efficace nello smontare la visione di uno Shakespeare nato, morto e sepolto nel piccolo borgo di Stratford-upon-Avon, mentre il suo inseguimento del candidato “alternativo” Edward de Vere prende ben presto, col forte peso dato a scandaletti di corte, supposizioni e psicologismi, una piega da “gossip” effettuato in altri secoli. Tutt’altro respiro possiede a nostro avviso un documentario girato qualche anno fa, di cui si parlerà qui più approfonditamente: Was Shakespeare English? di Alicia Maksimova. L’approccio all’argomento della regista russa è ancora più radicale. Ed oltre a puntellare certe tesi su un’origine ancor più distante geograficamente del Bardo (non più) di Stratford-upon-Avon, attraverso l’oltremodo interessante reticolato di ricerche filologiche, etimologie antiche, suggestioni letterarie, testimonianze storiche, il suo film possiede una libertà di sguardo e una freschezza narrativa davvero invidiabili. Questo suo viaggio cinematografico ci riporta peraltro in Italia.

Ripresa costantemente di spalle. Una fluente chioma rossa sulla schiena. Tacchi alti. Tenuta nera. Alicia Maksimova, presenza fortemente iconica ma non invadente, ci accompagna attraverso la penisola sulle tracce del fin qui misterioso Michelangelo Florio Crollalanza, erudito italiano costretto all’esilio a metà del ‘500 per motivi religiosi, le cui complesse vicende biografiche andranno inesorabilmente a sovrapporsi con quelle dell’autore di Molto rumore per nulla e Romeo e Giulietta.
Come ciò avvenga non vogliamo anticiparvelo: è così bello scoprirlo guardando il documentario! Una tesi affascinante prende corpo nella ricerca linguistica e nelle altre scoperte di una lunga serie di studiosi, incontrati tra l’isola di Vulcano, Messina (cui è rivolto uno dei ritratti più belli ed intensi), Verona, Venezia… ma in tutti questi luoghi lo sguardo dell’autrice si posa leggiadro, senza lasciarsi andare a pedanterie, alternando semmai interviste più serie a piacevoli distrazioni situazioniste e detour dell’immaginario.
Stessa cosa avviene, in piccolo, nella ridotta parentesi inglese che, oltre a riassumere la “versione ufficiale” della nascita di Shakespeare mostrandocene le lacune, ci svela gli aspetti “turistici” della vita nell’odierna Stratford-upon-Avon, trasformata per certi versi in dozzinale parco tematico. Per rendere meglio l’idea Alicia Maksimova si diverte con le musiche e il montaggio, tirando fuori un’ironia e una leggerezza, che rendono ancor più godibile l’intero lungometraggio. E per allargare l’indagine su come, dalla carenza di informazioni documentate, si arrivi anche a costruire falsi miti, rimandiamo volentieri alla lettura del sempre valido L’invenzione della tradizione di Eric J. Hobsbawm.

Stefano Coccia

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