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Thirstygirl

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VOTO: 7,5

Desideri oscuri

Come ogni anno Cortinametraggio si apre anche al panorama internazionale con una vetrina competitiva dedicata a una cinematografia straniera. Se nella passata edizione la finestra sul mondo si era spalancata su una selezione di short di produzione afghana, nella 19esima è stata la volta di una raccolta dedicata al made in Usa composta da cinque titoli. Tra questi il pubblico della kermesse veneta ha potuto vedere Thirstygirl di Alexandra Qin, approdato all’ombra delle Dolomiti dopo un fortunato tour festivaliero che ha fatto tappa in manifestazioni importanti come il Palm Springs International Shortfest 2023 e il Sundance 2024.
La prima esperienza dietro la macchina da presa della Qin si traduce in un film intimo sulla sorellanza e sulla dipendenza, che segue due donne asiatico-americane di razza mista che viaggiano attraverso il Sud degli Stati Uniti. Loro sono Charlie e Nic, mentre la loro meta è sconosciuta. L’unica cosa che è data sapere è che la prima non riesce a smettere di mandare nudi e di guardare porno sul suo telefono. Mentre le sorelle proseguono il loro viaggio, il bisogno di sesso della ragazza si intensifica al punto di ricorrere a comportamenti sempre più depravati per ottenere la sua soluzione.
Thirstygirl offre uno sguardo intimo e potente su due sorelle alle prese con desideri oscuri e il complesso intreccio dei loro legami familiari durante un viaggio che cambierà per sempre le loro esistenze. Il risultato è un dramma on the road che come da tradizione assolve a un compito ben preciso, che è quello di consentire ai protagonisti di turno di scoprire o dare emergere qualcosa di sé attraverso un’esperienza che da fisica si fa emotiva ed esistenziale. Il cortometraggio percorre dunque binari narrativi classici che si rifanno e appoggiano alle dinamiche del road movie da una parte e del romanzo di formazione dall’altra, con relative tematiche annesse comprese le complicanze dei legami affettivi e biologici. Il ché sarebbe sufficiente a dare in dotazione abbastanza materia prima per alimentare un plot e i suoi intrecci, oltre che delineare i profili e le one-lines dei personaggi. Ma la regista, che qui firma anche la sceneggiatura, ha deciso di stratificare e ispessire ulteriormente il racconto iniettando al suo interno un tema dal peso specifico rilevante che ne aumenta in maniera esponenziale la complessità. La Qin infatti decide di trattare e senza l’uso dei guanti un argomento assai delicato e controverso come quello del sex addicted. Non si spinge all’estremo come il Nymphomaniac di Lars von Trier, ma lo affronta senza remore mostrando con sensibilità e attenzione gli effetti. Non ricorre a una visione e a una messa in scena cruda e morbosa, ma al contempo non epura per addolcire la pillola facendo arrivare comunque forte e chiaro il messaggio al fruitore. Come veicolo sceglie una coppia di attrici di talento come Samantha Ahn e Claire Dunn, le cui performance naturali e sempre credibili vengono catturate e restituite sullo schermo attraverso un 4:3 assolutamente funzionale che conferisce centralità ai personaggi e una fotografia dalle tonalità acide che contribuisce a creare la giusta atmosfera.

Francesco Del Grosso

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