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The Square

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VOTO: 8

Lost in Pyongyang

The Square, scritto e diretto da Kim Bo-sol, è il film delle prime volte: la prima volta che a Udine un lungometraggio d’animazione viene scelto quale film di chiusura; ma soprattutto la prima volta che a tale film d’animazione va anche un riconoscimento ufficiale, essendogli stata conferita al 27° Far East Film Festival una preziosa Menzione Speciale inerente al Gelso Bianco per la migliore opera prima / White Mulberry Award for First Time Director, col premio principale della categoria andato invece al giapponese Jojo Hideo per Welcome to the Village.
Entrambe scelte rispettabili. Ma è proprio dall’animazione coreana che ci sono giunte le emozioni più forti. Tanto da farci percepire un immenso calore, persino nella neve che vediamo scendere fitta dal cielo plumbeo di Pyongyang.

Lo sguardo occidentale sul regime blindatissimo della Corea del Nord, al pari del complicato rapporto tra le due coree, è un topos che periodicamente ricompare nel cinema contemporaneo, sia documentario che di finzione: come dimenticare ad esempio Joint Security Area, il capolavoro di Park Chan-wook da noi scoperto proprio al Teatro Nuovo Giovanni da Udine?
Con The Square di Kim Bo-sol assistiamo a un ulteriore cortocircuito dell’immaginario. Le presenze straniere in Corea del Nord sono solitamente rappresentate, infatti, da diplomatici, rappresentanti commerciali e ben pochi turisti, che in tale paese possono transitare e sostare solo accettando un pervasivo, soffocante e talora paranoico controllo da parte delle autorità comuniste, tese da un lato a limitare il più possibile i contatti col mondo esterno dei propri cittadini e dall’altro a mostrare agli ospiti soltanto ciò che vogliono di quanto accade lì. Va da sé che le immagini giunte in Occidente da tale realtà siano quelle a carattere propagandistico sponsorizzate dal regime, oppure quelle di qualche documentarista indipendente che solo a forza di compromessi o con qualche escamotage, qualche apprezzabile sottigliezza, riesce a far filtrare certe annotazioni critiche, non conformi, strappate così all’onnipresente protocollo che i forestieri sono tenuti a seguire.
A suo modo geniale, quindi, il ricorso all’animazione, non soltanto per l’evidente qualità dei disegni e per l’ammirevole costruzione narrativa, ma anche e soprattutto per aver portato sullo schermo una storia altrimenti impossibile da raccontare; vieppiù difficile, se non addirittura impossibile, da vivere, in una nazione soggetta a cotante restrizioni.

Difatti il tema di fondo del film è l’anatomia di un rapporto affettivo quasi inconcepibile nella realtà: quello tra una graziosa vigilessa di Pyongyang e un giovane, biondissimo diplomatico svedese, Borg, di stanza nella capitale; rapporto prima di tenera amicizia poi di aurorale amor fou, destinato ad ogni modo ad essere osteggiato e con ogni probabilità brutalmente reciso da quel sistema di divieti che, in Corea del Nord, regola anche i contatti tra gente del posto e cittadini stranieri.
La cappa orwelliana che accompagna tutta la narrazione è qui alquanto scoperta. Tuttavia, nel susseguirsi di incontri clandestini tra innamorati e di agenti della polizia politica che fanno rapporto, nel vorticoso intrecciarsi di tracce da “spy game” e di struggente melodramma, The Square ha l’ulteriore merito di lasciare sullo sfondo il versante politico, ideologico, concentrandosi invece sugli aspetti più intimi, umani della vicenda. Se perciò gli ambienti pubblici di Pyongyang, quegli spazi vuoti e solenni, rappresentano una cornice perfettamente riconoscibile, il carattere malinconico, sfumato e per certi versi umbratile dell’animazione aderisce in profondità allo stato d’animo dei protagonisti, accarezzandoli come quella neve che scendendo sulla capitale acuisce l’impatto quasi sensoriale di un inverno, la cui impronta permane sia a livello atmosferico che prettamente emotivo.

Stefano Coccia

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