C’era una volta una casa reale…
A Bernardo Bertolucci la Cina e L’ultimo imperatore, all’autoctono Hur Jin-ho la Corea e The Last Princess. Con le debite proporzioni, ovviamente…
Lo stagionato autore sudcoreano ha fama di essere in patria il più abile e gettonato regista di melodrammi. Tutto ciò in The Last Princess – presentato nell’ambito del Far East Film Festival 2017 – si avverte senz’altro, nel bene e ne male. Non mancano ad esempio gli svolazzi retorici e una certa enfasi, nel sottolineare l’amor patrio della casa regnante coreana in forzato esilio. Ma in fin dei conti sono molti di più gli elementi a favore del film. A partire, volendo, proprio dalla maestria con cui le difficili, sofferte scelte individuali vengono incastonate in sequenze dotate di un forte valore drammatico, allorché l’azione si fa concitata e la “cattività” dei protagonisti in Giappone diviene teatro di arditi, sanguinosi attentati e non meno rocambolesche fughe.
La cornice storica in cui si dipana il racconto coincide con gli anni più duri della dominazione giapponese in Corea. Già all’inizio del Novecento la locale casa regnante era stata detronizzata. E accadde così che, in virtù degli intrighi orchestrati a Tokio, anche la principessa Deok-hye, dopo essere cresciuta nel suo aristocratico palazzo di Seoul, venne costretta a trasferirsi nell’arcipelago nipponico, dove sarebbe poi rimasta per gran parte della sua vita. Ufficialmente come “ospite” del governo che ne aveva occupato il paese d’origine, in pratica da ostaggio prestigioso e importante.
The Last Princess finisce così per narrarci, in forma romanzata ma con continui rimandi alla realtà storica, le terribili peripezie cui andò incontro Deok-hye in terra straniera. E lo fa con uno stile piuttosto accattivante, diciamolo pure: specie nelle scene d’azione e in quelle di maggior impatto emotivo il montaggio si fa incalzante, la coreografia dei diversi movimenti in campo risulta inappuntabile e nessun ralenti appare sprecato, contrariamente a ciò che troppo spesso si nota in simili blockbuster. Ne deriva pertanto un filmone in costume ben confezionato, da seguire a tratti col fiato sospeso.
Stefano Coccia