Play “Woman in the Rain” again, Sam!
Torino. Esterno giorno. Ingresso del Cinema Massimo. La sceneggiatura di questo 2024 bisestile e quindi un po’ folle di suo ha riportato il sottoscritto nel capoluogo piemontese, un tempo frequentato abbastanza assiduamente per ToHorror e Torino Film Festival, a distanza di diversi anni.
Ma le circostanze da “Guinness dei Primati” non sono soltanto queste. L’occasione di tale trasferta è difatti il SEEYOUSOUND, lanciatissimo festival torinese che nessun redattore di CineClandestino aveva avuto modo finora di seguire in loco. Ma non abbiamo mica scelto un’edizione qualsiasi per “debuttare”: trattasi infatti della decima, con una bella X in evidenza sul sito e nel catalogo. Quando un festival arriva in doppia cifra, i motivi per festeggiare insieme l’evento non necessitano poi di troppe spiegazioni…
Torino. Interno giorno. Sala Cabiria. Il film che segna il nostro “debutto” da spettatori si intitola The K-Pop Story e viene, neanche a dirlo dalla Corea del Sud. Una delle curatrici del festival accoglie il pubblico in sala fornendo, riguardo alla commedia musicale della cineasta coreana Yun Jae-yeon (già segnalatasi per altri film di genere: vedi Whispering Corridors 3 – Whishing Stars, datato 2003) una serie di informazioni interessanti, riguardanti principalmente il successo planetario del K-Pop stesso: un’industria che a livello mondiale vale oltre 7 miliardi di dollari, con tanta, tantissima esportazione e il governo coreano in prima fila nel regolare tale business, non può non colpire l’immaginazione dello spettatore. La nostra, di immaginazione, è già stata profondamente suggestionata in realtà dagli alfieri più importanti di tale fenomeno musicale, i BTS, dei quali arrivano periodicamente anche nelle nostre sale scatenati e coloratissimi film celebrativi. Ci siamo divertiti come i teenager dai quali eravamo circondati a vederli in sala. E questo può essere anche lo spunto ideale, per confessare un “dirty pleasure” non da poco: la musica dei BTS ci piace, i loro fantasiosi balletti tendono a stupirci, lo stesso stile così “glamour” ma al contempo scanzonato che si sono fatti cucire addosso ci ha conquistato da subito.
Eppure, nel lungometraggio di Yun Jae-yeon visto a Torino (sebbene una parte di noi si sarebbe aspettata semmai di incrociarlo a Udine, laddove il Far East Film Festival di film asiatici fa incetta) quell‘ipotetica band, che si è voluto porre al centro del racconto, di glamour e di “trendy” pare avere ben poco. Sembrano più che altro NERD con la passione per la musica. Si chiamano What’s Up e la loro “resurrezione artistica” diventerà strada facendo la soterica, generosa missione dell’altro protagonista Dong-geun, ex musicista scottato dalla vita che lavorando per una grossa società (impegnata anche nella promozione di nuovi gruppi e cantanti) si era fatto trascinare in scandali tali, da portarlo pure in prigione.
L’area tematica del lungometraggio è quindi una sfrontata “rivincita dei losers”, tanto più significativa se rapportata a una società coreana in cui ricerca del successo professionale e spirito competitivo sono spesso portati allo spasimo. La musica è ovviamente l’altro cardine imprescindibile, con le evoluzioni artistiche del gruppo a tenere banco e a ricondurci, sottotraccia, al passato artistico del già menzionato Dong-geun; un passato di cui fa parte anche il brano “Woman in the Rain”, autentico tormentone legato ai burrascosi trascorsi sentimentali del protagonista.
Se il sub-plot relativo ai problemi con la giustizia di Dong-geun e a quelle losche trame, che coinvolgono tanto la sua azienda che l’ambiguo discografico della Butter Cream Bread Entertainment affibbiatogli quale partner lavorativo, sono forse l’elemento della trama meno convincente, in quanto tratteggiato in maniera un po’ frettolosa, proprio la cornice musicale spicca per genuinità e appeal emotivo. Sia da un punto di vista caustico, critico, considerando l’aura alquanto sulfurea che circonda qui l’ambiente dei produttori musicali. Sia per il ritratto vivace ed eccentrico della band, da appaiare senz’altro al piccolo mistero rappresentato da una canzone come “Woman in the Rain”, il cui reale significato è importante per Dong-geun e verrà svelato poco a poco anche al pubblico. Ciò avverrà poi attraverso il ricorso a un’animazione dai tratti essenziali, sognanti, naif, che resta tra le intuizioni più apprezzabili della commedia musicale di Yun Jae-yeon, rivelatasi ad ogni modo asciutta (anche nella durata: in controtendenza quindi rispetto a molte commedie coreane recenti, allungate all’infinito e caratterizzate spesso da più di un “finale”), piacevole e pervasa da un’energia positiva.
Stefano Coccia