Il guardiano dell’umanità
40 metri di altezza per 15.000 tonnellate di peso, lanciati a 700 km/h di velocità quando decide di correre e a mach 5 quando invece preferisce spiccare il volo. Tutto racchiuso in un’armatura di materiale indistruttibile. Lui è Ultraman per chi non lo avesse riconosciuto, il celeberrimo supereroe nipponico, idolo di intere generazioni, protagonista della popolarissima e amata serie del 1966 targata Tsuburaya Productions, che per chi non lo sapesse è una delle case di produzione di show televisivi di genere tokusatsu più importanti del Giappone, fondata da Eiji Tsuburaya, e madre di personaggi immortali nell’immaginario collettivo, quali Denkou Chojin Gridman (passato in Italia come Super Human Samurai), Kyoryu Daisenso Ai-Zenborg (I-Zemborg) e non ultimo proprio il famosissimo gigante di ferro. Un personaggio, questo, che è stato oggetto nei decenni successi di tantissimi altri progetti audiovisivi e ludici tra serie, film, videogiochi, fumetti e parchi a tema, che ne hanno esteso gli orizzonti dal punto di vista del franchise con operazioni di marketing e cross-mediali.
È risaputo, dunque a quanti diversi retcon e restiling la sua storia e il suo identikit sono andati incontro dalla nascita sino ad oggi, che per certi versi ne hanno cambiato nei decenni i connotati, il design e soprattutto l’imprinting originale. Ecco perché urgeva intervenire al più presto con una missione di salvataggio del personaggio per evitare che andasse ulteriormente alla deriva verso forme ed espressioni altre che lo allontanano ancora di più da ciò che era ed è stato. A guidarla Hideaki Anno con la complicità del regista Shinji Higuchi, che dopo Shin Godzilla hanno realizzato Shin Ultraman, il secondo capitolo di una futura trilogia che mira proprio a riportare il guardiano dell’umanità alle sue origini. Il film, presentato in anteprima italiana come titolo di punta nel concorso del festival Sognielettrici 2022, è infatti una reimmaginazione della serie degli anni Sessanta, al quale si rifà non solo nello spirito ma anche nel look. Due scelte di base che hanno fatto un enorme piacere a noi e ai tanti appassionati nostalgici dei bei tempi che furono.
Ecco allora vederlo nuovamente sullo schermo nelle vesti di una volta, quelle vintage che per fortuna sono tornate di moda e che ci fanno brillare gli occhi. Una scelta decisamente in controtendenza rispetto al vento high-tech dei roboanti e costosissimi VFX dei giorni nostri. Gli autori hanno riavvolto il nastro riportando Ultraman e l’intero pacchetto alla fonte e da quella è emerso Shin Ultraman. La pellicola ci porta nel Giappone dei giorni nostri, dove la continua apparizione di Kaijū, ossia gigantesche forme di vita non identificate conosciute come “Specie di Classe S”, sta mettendo in serie discussione l’incolumità della popolazione. Le armi convenzionali non hanno alcun effetto su di loro. Avendo esaurito tutte le altre opzioni, il governo nipponico ha emanato il protocollo di soppressione delle specie di classe S e ha formato un’unità di contrasto, nota come SSSP. I membri scelti per l’unità sono: Il leader Fumio Tamura (interpretato da Hidetoshi Nishijima), lo stratega esecutivo Shinji Kaminaga (interpretato da Takumi Saitoh), il fisico nonparticellare Taki Akihisa (interpretato da Daiki Arioka), e la biologa universale Yume Funaberi (Akari Hayami). Mentre la minaccia delle Specie di Classe S peggiora, un gigante d’argento appare al di fuori dell’atmosfera terrestre. L’analista Hiroko Asami (interpretata da Masami Nagasawa) è appena entrata nella SSSP per occuparsi di questo gigante e fa coppia con Shinji Kaminaga. Quel gigante è Ultraman e ha tutte le intenzioni di salvare il Sol Levante e il pianeta intero dalle minacce terrene ed extra-terrestri.
Il film mostra più che racconta la difesa messa in atto dal robottone giapponese contro la diffidenza della razza umana nei suoi confronti e contro i mostri che ne minacciano l’estinzione. Il risultato è un combat-movie che entra di peso nella famiglia allargata della fantascienza e nello specifico del monster-movie, nel quale la produzione nipponica ha voce in capitolo da decenni, per buona pace di quella a stelle e strisce che nel filone in questione con Pacific Rim e relativo sequel ha provato a battere un colpo chiamando in causa i mitici Kaijū della tradizione sci-fi del Sol Levante. Ma guardando questo Shin Ultraman si capisce perfettamente il motivo per cui l’imitazione è possibile e lecita, ma non è detto che si riesca a raggiungere l’essenza della matrice. La pellicola di Higuchi, invece, chiamandola in causa direttamente attraverso il mito e uno dei personaggi centrali della letteratura del genere di riferimento, ne rispecchia in pieno l’essenza. Il risultato è un divertissement in tono e dal design retrò, che oltre alla nostalgia risveglia anche dal torpore il piacere di intrattenersi al cospetto di robottoni e mostri giganteschi che se le danno di santa ragione, tra scariche elettriche e raggi laser, tra le strade e i palazzi di Tokyo. Basterebbe questo a ripagare il prezzo del biglietto, ma il film va oltre con effetti volutamente artificiosi vecchia scuola che in linea con lo spirito giocoso e spettacolare della matrice originale lasciano un ricordo piacevole della visione.
Francesco Del Grosso