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River Town

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VOTO: 7

Nel ventre della balena

Una strana sensazione. Pur appartenendo geograficamente ad un continente a noi molto lontano, le immagini presenti nel cortometraggio a carattere documentario dal titolo River Town ci sembrano famigliari. Forse perché istintivamente ricordano qualche zona del Sud Italia, dove si è costruito al di fuori dalla legalità ed ora il panorama offerto è quello di totale abbandono. In River Town – cortometraggio diretto dal bravo Zhangdong Ma nonché prodotto da quel Songqiao Zhao che abbiamo imparato a conoscere su CineClandestino per l’indefesso impegno nel sociale – ci spostiamo sulle rive del JinSha, uno dei più lunghi e popolosi fiumi cinesi. Dove il governo centrale ha intimato alla popolazione rurale del posto di lasciare luoghi abitati da generazioni e generazioni a causa della costruzione di nuove centrali idroelettriche. Per chi accetta più o meno di buon grado è garantito il trasferimento in una città lontana. Per gli altri, i cosiddetti “contestatori”, sono previste sgradite misure coercitive.
Osservando la situazione da molto lontano, peraltro attraverso un oggetto filmico della durata di meno di dieci minuti, conviene astenerci da eventuali giudizi morali. Restano però impresse nella retina i vari fotogrammi di River Town. I quali appunto si collegano, quasi per riflesso pavloviano, con altro. Perché in fondo il filo conduttore è sempre il medesimo: la supremazia inviolabile dell’interesse economico. Con il fattore umano che retrocede all’ultimo posto nell’ipotetica scala di interesse. La fondamentale differenza con le faccende del nostro paese è che negli italici lidi lo Stato è perennemente assente, così da permettere autentici scemi idrogeologici in seguito forieri di altre catastrofi; mentre in Cina lo Stato è sin troppo presente, in modo tale da interferire pesantemente nell’esistenza di migliaia di persone, costrette a cambiare vita ed abitudini per incomprensibili (per loro) ragioni di interesse “superiore”.
River Town – semplicemente, eppure in maniera assai efficace – raccoglie e rimanda allo spettatore volti, gesti, intrisi di quella disperazione che ormai suona come rassegnazione. Non si profferisce parola, nel corso del cortometraggio. Tranne che per poche frasi, nelle quali un uomo lamenta la “costrizione ad andar via per ordine dello Stato“. Con uno stile visivo essenziale Zhangdong Ma riesce ad universalizzare il concetto di sopraffazione. Quando cioè un potere superiore approfitta della propria posizione per imporre decisioni in grado di giovare a pochi ma che penalizzano in modo evidente la vita di molte altre persone. Un documentario sul quale ragionare anche per comprendere meglio le differenze tra regimi totalitari e presunte dittature sanitarie tuttora in corso. Anche se le ferite – quegli oggetti abbandonati sulle rive del fiume fanno male al cuore – resteranno sanguinanti per molto tempo e saranno difficilmente rimarginabili allo stesso modo.

Daniele De Angelis

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