Duello in pedana e in famiglia
Ci è giunta da poco la notizia del Premio al Migliore Attore assegnato ex aequo, al termine del 22° Asian Film Festival, a Yu-Ning Tsao e Hsiu-Fiu Liu: questi due giovani talenti taiwanesi sono i co-protagonisti di Pierce, film ambientato per l’appunto a Taipei, ma con un’anima divisa in due, essendo originari di Singapore sia i produttori Sam e Jeremy Chua (da noi anche intervistato, quest’ultimo, al Cinema Farnese) che la regista Nelicia Low.
Riconoscimento strameritato, vista l’intensità espressa in scena da entrambi gli attori, ma è il film stesso a essere risultato tra i più curati sul piano estetico e tra i più avvincenti a livello narrativo, nella rosa di quelli in concorso al festival diretto come per le passate edizioni da Antonio Termenini.
Magmatico, sfuggente, quasi sognante, il prologo stesso ci offre un possibile punto di vista su quella tragedia famigliare appena sfiorata, che gravi ripercussioni avrà però sul prosieguo della vita dei protagonisti. Ritroviamo infatti i due fratelli anni dopo, diversamente tenuti in considerazione dalla madre, rimasta a sua volta pesantemente condizionata nella psiche sia da quell’episodio risalente alla loro infanzia che dall’assenza del marito, ma soprattutto alle prese con due traiettorie esistenziali alquanto distanti tra loro, per non dire opposte: il fratello maggiore Zhan si era affermato per primo quale schermidore di alto livello, con diversi titoli all’attivo, ma l’accusa di omicidio per un controverso incidente avvenuto in pedana lo aveva fermato e non soltanto sul piano sportivo, essendo stato condannato a diversi anni di prigione; mentre il fratello minore Zije, che pure pratica la scherma, vi si applica con grande passione ma molto meno talento, schiacciato anche dall’invadenza della figura materna e dal rapporto non risolto, quasi di odio e amore, con un fratello lontano che tra l’altro in merito al crimine attribuitogli si è sempre dichiarato innocente.
Non a caso sarà proprio l’uscita anticipata di Zhan dal carcere ad alterare tutti gli equilibri, rimettendo in gioco i sentimenti e i ruoli di ognuno, indirizzando poi la narrazione verso un epilogo tanto allucinato, cruento, quanto dotato di notevole spessore emotivo.
L’esordiente Nelicia Low, sorprendentemente matura dal punto di vista stilistico, ha avuto buon gioco qui nel parafrasare (come ci è stato raccontato dal produttore Jeremy Chua) un caso di cronaca nera realmente accaduto in quel di Taiwan, traslandolo nell’ambiente della scherma che pare conosca davvero bene, essendo stata in gioventù eccellente interprete, a livello agonistico, di tale disciplina.
Con disarmante naturalezza, gli stilemi del film sportivo si fondono così con quelli di un torbido, sovreccitato coming of age, in cui anche certe aurorali pulsioni erotiche giocano un ruolo, mentre l’inestricabile complessità dei rapporti famigliari è ciò che spiana la strada a un thriller psicologico, le cui tensioni latenti (complice la cupa colonna sonora di Piotr Kurek, Pierce infatti è co-prodotto anche dalla Polonia) sono destinate a sprigionarsi per intero solo sul finale. In un raptus di follia, dalle conseguenze a dir poco funeste, che paradossalmente però contribuirà a far luce sulle tante zone d’ombra del passato.
Stefano Coccia