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La storia della Principessa Splendente

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VOTO: 8

Una fiaba d’altri tempi

Solamente tre giorni (dal 3 al 5 Novembre) l’ultimo lavoro d’animazione dello Studio Ghibli potrà essere ammirato al cinema: un evento, questo La Storia della Principessa Splendente, che segna il ritorno alla regia di Isao Takahata, co-fondatore con Hayao Myazaki del celeberrimo Studio giapponese, e regista, tra gli altri, del classico La tomba delle lucciole e Pom Poko.
Otto anni di duro lavoro, tanti ne sono costati a Takahata e al suo staff per realizzare questa trasposizione animata di uno dei racconti popolari del decimo secolo tra più radicati nel classicismo nipponico: Taketori monogatari, letteralmente “Il racconto di un taglia bambù”.
Questo racconto-favola ha per protagonista Kaguya, una minuscola creatura che viene ritrovata dentro a una canna di bambù da un vecchio tagliatore di nome Okina. La bambina è immediatamente accudita dal vecchio e da sua moglie come se fosse figlia loro, con premura e amore. Kaguya è un essere speciale, cresce a vista d’occhio, divenendo sempre più bella e ammaliando con il suo modo di essere qualsiasi persona che entri in contatto con lei. Okina è convinto che la bambina sia una principessa, un dono del cielo, e al momento del raggiungimento della sua maggiore età decide di lasciare la serena e armoniosa campagna per spostarsi in città, in modo da far vivere Kaguya in un ambiente regale. Arriveranno moltissimi spasimanti pronti a tutto per lei: principi, gentiluomini, addirittura lo stesso Imperatore del Giappone. Tutti cercheranno invano di conquistarla, ma nessuno si dimostrerà degno del suo interesse. La giovane andrà incontro al compimento del proprio destino, sciogliendo ogni mistero riguardo alla sua misteriosa origine.
La peculiarità del film di Takahta balza immediatamente agli occhi in quanto si discosta dai canoni grafici ed estetici più caratteristici dello studio Ghibli: i disegni che animano la pellicola sono, infatti, tutti realizzati a mano, il tratto è scarno ed essenziale, impressionista, veloce. Takahata ricerca più la fascinazione che la precisione, più l’atmosfera che la perfezione stilistica, in un lavoro di sottrazione che raggiunge vette di lirismo che ben s’incastrano con il tono della storia narrata, donando alla pellicola un gusto squisitamente retrò, perfettamente in linea con le origini del testo.
Il tono fiabesco si mescola al tradizionalismo dei valori giapponesi, presentando momenti di grande impatto emotivo che, nonostante la lontananza culturale, riescono a colpire al cuore ed emozionare anche lo spettatore occidentale.
Dividendo idealmente la pellicola in due macro sezioni – quella riguardante i primi anni di vita di Kaguya in campagna, e la sua successiva “dorata prigionia” in città – Takahata sposa in pieno uno dei tòpoi più cari allo Studio Ghibli, quello dell’elogio della natura incontaminata, madre genuina dell’uomo, ventre caldo che si contrappone a un mondo cittadino arido, falso e corruttibile. Proprio per questo la prima parte del film è contraddistinta da un’ironia leggera, che lascia il segno a toni più melodrammatici nel prosieguo della vicenda.
Accompagnato dalla consueta sublime colonna sonora di Joe Hisaishi, La storia della Principessa Splendente è l’ennesimo tassello che va ad aggiungersi alla schiera di capolavori dello Studio Ghibli: una fiaba di formazione, una storia sull’ineluttabilità del nostro destino e delle nostre scelte. Ancora una volta l’animazione giapponese sale in cattedra.

Federica Bello

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