Esempi di coraggio al femminile, dal Medio Oriente in fiamme
Mosul, giugno 2017. Le prime immagini con relative didascalie ci trascinano subito “in medias res”, ossia in un Medio Oriente devastato da quella piaga terribile che è stata (o continua ad essere, viste le sacche di resistenza che producono ancora orrori, finanche in altri territori) il famigerato DAESH, lo stato islamico estesosi tra Siria ed Iraq. Più che un documentario vero e proprio è quasi un serratissimo reportage giornalistico, La forza delle donne di Laura Aprati e Marco Bova. Ma questo non deve servire a sminuirlo. Le testimonianze raccolte e l’accorto montaggio con cui esse vengono proposte rappresentano non soltanto un ottimo lavoro d’inchiesta, ma anche uno spaccato validissimo dal punto di vista socio-politico, in quanto capace di far emergere un dato importante: il ruolo imprescindibile svolto dalle donne nella vita dei campi profughi e in altre tristi dinamiche, cui tale regione è stata soggetta in questi anni.
Codesto lodevole lavoro audiovisivo ha pertanto iniziato a circolare, dopo che la prima emblematica tappa si è svolta presso la Sala Stampa Estera di Roma, così da poter raccontare a un pubblico sempre più ampio l’eccezionale viaggio fra le donne compiuto da una giornalista d’inchiesta di lungo corso assieme a un giovane cronista e film-maker, tra Iraq, Siria e Libano. Si potrebbe catalogare il materiale raccolto come fosse una specie di cinegiornale, suddiviso in testimonianze dal fronte e altre dalle retrovie. Sì, perché se sono indubbiamente di fortissimo impatto le riprese realizzate, presso città martoriate come Mosul, in situazioni che vedevano gli scontri armati ancora molto vicini e il rischio di incappare in cecchini o attentati suicidi ugualmente alto, nondimeno è destinato a lasciare un nodo alla gola lo spettrale ritratto di località appena liberate dall’Isis, dove la persecuzione delle comunità cristiane e – soprattutto – yazide era stata particolarmente feroce. Allo stesso modo è illuminante, nella sua spietata analisi sociologica, la ricognizione di quelle aree del Libano in cui la presenza di campi profughi e di così tanta gente in fuga dalla guerra sembra mettere in crisi un equilibrio interno già precario di suo, considerati i delicati rapporti interetnici e religiosi, nonché le scorie dei precedenti conflitti che hanno attraversato la regione. E la sincerità con cui il quadro viene descritto dagli stessi sfollati, dalla popolazione locale e da quei soggetti attivi a vario titolo nel sociale ci è sembrata complementare, in qualche misura, all’empatico e interessantissimo racconto proposto in termini di finzione cinematografica da un grande cineasta libanese, Ziad Doueri, il cui sferzante apologo L’insulto è uscito da non molto anche nelle sale italiane.
In conclusione, ponendo sotto i riflettori il coraggio delle combattenti curde, il vitale apporto delle donne alle meste condizioni di sussistenza riscontrate in quei centri di raccolta che si ingrandiscono ogni giorno di più, la crescente presa di coscienza femminile rispetto a un arcaico e rozzo universo maschile che sembra parlare soltanto il linguaggio del Corano e del kalashnikov, in poco più di mezz’ora La forza delle donne finisce per assolvere egregiamente al proprio compito, pur senza puntare a una forma cinematografica esteticamente ricercata e compiuta.
Stefano Coccia