Il tempo che ci resta
Chi dopo i consensi ricevuto per Dogman pensava che un autore come Luc Besson avesse tirato i remi i barca per rifiatare e riordinare le idee, beh allora si sbagliava di grosso. Del resto, il cineasta parigino con le mani in mano proprio non sa stare. Infatti, quando non è impegnato direttamente dietro la macchina da presa, si dedicata alla scrittura di sceneggiature o alla produzione con la sua EuropaCorp di progetti audiovisivi diretti da colleghi e colleghe. In tal senso nemmeno la pausa forzata dovuta alla pandemia ne aveva arrestato il flusso creativo, tanto da realizzare in quel periodo una pellicola della quale, salvo qualche addetto ai lavori, in moltissimi – noi compresi – ne ignoravano persino l’esistenza. Questo fino a quando è iniziata a circolare la notizia che un “film segreto” di Besson avrebbe aperto in anteprima internazionale fuori concorso la prima edizione del Milano Film Fest. Si tratta di June & John, girato dal regista transalpino in piena emergenza sanitaria con un iPhone, che vede la luce e il buio della sala solo di recente con la proiezione alla kermesse meneghina e la prossima uscita nei cinema nostrani con Movies Inspired.
A due anni dal visionario Dogman, Besson è tornato con un progetto super indipendente che al contempo incarna perfettamente lo spirito indie delle opere low budget più autentiche e quello della sua natura poliedrica di artista capace di muoversi senza soluzione di continuità e in scioltezza da un genere a un altro. La capacità camaleontica che lo ha sempre contraddistinto di spaziare e adattarsi di volta in volta alle esigenze e alle richieste del progetto in questione ha fatto in modo che questa pellicola potesse prendere forma e sostanza anche in una fase critica come quella che il mondo intero e il settore di appartenenza hanno dovuto attraversare. Mentre molti altri progetti si sono arenati, June & John è arrivato comunque a compimento, uscendo però a distanza di cinque anni dalle riprese. Come si dice, meglio tardi che mai per un film che, pur con tutte le limitazioni del caso, si è dimostrato comunque interessante non tanto per la modalità di ripresa con un cellulare, hardware che si sa essere già stato utilizzato in passato in più occasioni, quanto per lo spirito selvaggio e di resilienza che lo pervade.
Ipercinetico, a suo modo poetico e lisergico, con lo spiccato gusto cinefilo tipico di un autore europeo che conosce alla perfezione dinamiche e ispirazioni hollywoodiane, June & John è un cocktail di generi che non consente allo spettatore di identificarlo e circoscriverlo con precisione in un dato filone. Il ché rappresenta il motore portante e il carburante che va ad alimentare la scrittura prima e la messa in quadro poi di un’opera che nel proprio DNA mette insieme e sfrutta gli stilemi del road movie, del teenage drama e della commedia sentimentale. Con e attraverso di essi, Besson ci catapulta in quel di Los Angeles al seguito di John, un impiegato dalla vita ordinaria e ripetitiva che conduce una frustrante esistenza con ben poche soddisfazioni sia nella sfera professionale, sia in quella privata. Tutto questo almeno fino a quando la sua vita viene letteralmente stravolta dal folgorante quanto fugace incontro in metropolitana con l’eccentrica June. L’inizio della loro rocambolesca relazione coincide con un folle viaggio in auto dalle conseguenze inaspettate.
L’immaginario ci trasporta diritti al classico noir delle “coppie in fuga”, che nella pellicola di Besson viene presa a modello e ricalcato in maniera piuttosto fedele. Ciò non gioca a favore dell’originalità del plot che da questo punto di vista segue un copione preconfezionato. La mente di default, specialmente quando i protagonisti si danno alla macchia e si passa al cosiddetto caper movie, alla leggenda di Bonnie e Clyde e agli innumerevoli racconti cinematografici che ha ispirato. Tuttavia il June & John di Besson trova la sua ragione di essere e la strada per intrattenere nelle singole situazioni, alcune delle quali divertenti e coinvolgenti sul piano dinamico. Ed è da queste che bisogna partire per apprezzare un’opera che a suo modo prova a riflettere sul contemporaneo, spingendo il fruitore di turno a interrogarsi sull’alienazione di una generazione travolto dalla pandemia, chiusa nella propria identità virtuale sui social network. La distanza emotiva tra le persone in un’America spettrale fa sì che la scintilla tra i due protagonisti diventi un evento bigger than life, capace di piegare la paura di vivere che ha colpito il mondo intero. Ciò fa da cornice e linfa tecnica, drammaturgica e tematica a un film che è anche un’appassionante e travolgente storia d’amore tra outsiders, nei panni dei quali si sono calati con efficacia ed efficienza interpretativa Luke Stanton Eddy e Matilda Price. Quest’ultima indossa quelli di June, la tipica (anti)eroina dei film di Besson, anarchica, sfrontata e intraprendente, quanto di più distante ci possa essere dai logori stereotipi sull’universo femminile, che sembra una perfetta fusione tra le protagoniste di Angel-A ed Anna.
Francesco Del Grosso









