Giustizia dolorosa
La recente esplosiva vittoria alle legislative del 2017 di Alternative für Deutschland (AfD), partito di ultra-destra, certifica come in Germania una cospicua fetta di popolazione abbia un forte rigurgito di odio. Ideologia (filo)nazista disapprovata da molti sul suolo teutonico, però non completamente sconfessata e rigettata. Nel profondo di molti si cela un sentimento nazionalista, e gli atti terroristici contro il diverso “non germanico”, in questo caso le comunità mussulmane che vivono – integrate – nelle città tedesche, hanno un diverso peso morale. Aus dem nichts – In the Fade (Oltre la notte la titolazione italiana) si inserisce in questo scuro momento tedesco, e cerca di palpare con il racconto l’atmosfera che aleggia sopra il presente della Germania.
Fatih Akin costruisce la tragedia segmentandola in tre capitoli, e attraverso una dolorosa vicenda personale, quella che colpisce la tedesca Katja, cerca di mostrare il clima attuale, soprattutto a livello di giustizia non egualitaria. Nel film – presentato al Cineuropa Compostela 2017 dopo il passaggio a Cannes 2017 – ritorna il discorso sullo scontro tra due culture differenti, e ricompare il ritratto di una donna forte, in lotta contro tutti e anche contro se stessa. Eppure con questo materiale incandescente, e finanche necessario per riflettere sugli accadimenti del presente, Aus dem nichts non riesce quasi mai ad essere incisivo con il discorso politico e, soprattutto, a livello emotivo, che si concretizza in scene di facile presa. Il dramma personale della protagonista ha una costruzione artefatta e preparata di misura per il finale, e quindi l’emozioni sono d’accatto. Mentre il sottotesto politico riesce ad avere una certa presa solo nei dibattimenti in tribunale, dove l’artificioso diviene più vivo. Però scandagliamo i tre atti.
Primo atto, La famiglia. Akim mostra i diversi nuclei familiari, di generazione e cultura, a confronto. C’è quello dell’amore vero tra Katja e Nuri (e il figlio Rocco), ormai distrutto; la cecità e il menefreghismo della madre di Katja, che piange solamente per la morte del nipotino e incolpa Nuri di esser stato un delinquente; l’odio dei genitori di Nuri verso Katja, che la reputano causa e disgrazia della morte del figlio e del nipotino, perché non è stata una buona madre, troppo occidentale. Atto girato quasi tutto in interni, in cui prevale una fotografia scura, che rispecchia la tragedia appena occorsa, e il sentimento interiore di ogni personaggio. Episodio che non suscita viscerali emozioni, perché i conflitti dei personaggi e le loro sofferenze restano in superficie.
Secondo atto, La giustizia. L’impianto narrativo diviene quello classico dei legal-movies, in cui nella sala dell’udienza si scontrano le due parti. Girato con una fotografia molto chiara, tendente al neutro e che vorrebbe mettere in luce la verità, si rivela, alla fine, il tassello più funzionale. Nell’aula non si mettono solamente a confronto le singole personalità, di Katja e dei due attentatori, ma lo scontro rispecchia il sentimento che aleggia nella Germania attuale. L’avvocato falco, difensore dei terroristi, ha dietro le sue tirate garantiste un forte accento di sentimento nazionalista. Katja viene messa duramente sotto torchio durante i dibattiti, perché nella sua casa viene scoperta della droga e, sotteso all’accaduto, la colpa di aver sposato un musulmano (lei che ha le tipiche fattezze “ariane”) con precedenti penali. Il capitolo, seppure schematico (furenti botte e risposte tra le due parti), non si protrae solamente in verbose scene, ma anche “prestazioni” fisiche, in cui i personaggi, tra tesi silenzi e scoppi d’ira, sanno riempire le scene.
Terzo atto, il mare. È la sintesi dei due capitoli precedenti, in cui Katja, non ancora riavutasi dal dolore della grave perdita, deve decidere cosa fare della sua vita e come (re)agire. Atto con toni grigi, che confermano l’indecisione della protagonista, che si tramutano in colori di nuovo lucenti solo nella scena finale, che accompagnano i titoli di coda. È il capitolo probabilmente più doloroso, in cui Katja è veramente rimasta sola, ma è anche il momento più debole del film, in cui il regista sceglie una soluzione semplice per far suscitare una veloce emozione nel pubblico.
Roberto Baldassarre