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Il sole a mezzanotte

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VOTO: 4.5

Finché morte non vi separi

Katie e Charlie sono giovani, innamorati e belli. Incredibilmente belli. Katie, con uno spiccato talento per il disegno e la musica, è innamorata di Charlie fin da quando era bambina, mentre lui sembra essersi accorto di lei soltanto una volta terminato il liceo. I due iniziano a frequentarsi, ma Katie può uscire di casa solo alla sera, in quanto, poiché affetta dalla rara malattia dell’XP, la luce del sole potrebbe ucciderla. Charlie, tuttavia, in un primo tempo non sospetta minimamente nulla, riguardo le condizioni di salute della sua ragazza. Malauguratamente, però, la giovane, dopo essere rientrata all’alba, viene colpita dai raggi del sole. A quel punto, le sue condizioni di salute peggioreranno irreversibilmente.

Un tema importante, dunque, questo che il regista, scrittore e produttore statunitense Scott Speer ha voluto trattare nel suo Il sole a mezzanotte, il quale, a sua volta, si rifà al giapponese Song to the Sun (diretto nel 2006 da Norihiro Koizumi). Tema importante e assolutamente non facile da sviluppare, in quanto, nel momento in cui si vuol dar vita ad un teen movie che rispecchi appieno gli standard di quanto prodotto negli ultimi vent’anni a questa parte dalle grandi major americane, il rischio di incappare in banali clichés è elevato come non mai. E, purtroppo, questo ultimo lungometraggio di Speer, i sopra menzionati clichés li ha davvero tutti: dal fatto che entrambi i ragazzi siano i più belli e desiderati delle feste, all’osservare le stelle insieme di notte, dall’incisione di una canzone – da parte di Katie – che avrà inaspettatamente successo dopo la morte della stessa, fino ad una serie di banali luoghi comuni e dialoghi inconsistenti pronunciati, di volta in volta dai protagonisti stessi. Fatta eccezione per il tema della malattia a cui in questo caso si fa riferimento, Il sole a mezzanotte ci trasmette una forte, fortissima sensazione di déjà vu, in quanto ricalca fedelmente la struttura di numerosi altri teen movie prodotti fin dal decennio scorso e che somiglia in modo impressionante al già di per sé poco riuscito I passi dell’amore, diretto nel 2002 da Adam Shankman.
Ciò che maggiormente disturba in questo ultimo lavoro di Speer è la superficialità con cui viene trattato il tutto. Dal modo in cui viene approfondito il tema della malattia (impossibile, a tal proposito, che appena prima di morire la giovane protagonista sia più bella e in forma che mai) – di cui, in fin dei conti, ci viene detto davvero poco – fino all’indagine psicologica nei protagonisti stessi, che vede come punto più basso di tutto il film il momento in cui Katie, consapevole di avere ancora poco tempo a disposizione, decide di iscrivere suo padre – già vedovo da tempo – ad un sito di incontri, spronandolo altresì a girare il mondo dopo la sua morte, per poi abbracciarlo piangendo e dire: “Ok, ora possiamo ordinare dal ristorante cinese!”.
Un prodotto, questo, in cui, di conseguenza, ogni singolo elemento (dalle elevate potenzialità emotive) risulta pericolosamente banalizzato, appiattito, edulcorato in modo quasi stucchevole ed in cui promettenti interpreti come Bella Thorne, nel ruolo di Katie, e Patrick Schwarzenegger (ebbene sì, figlio d’arte!) nel ruolo di Charlie, restano prigionieri dei loro stessi, stereotipati personaggi.
Malgrado, dunque, le numerose potenzialità, malgrado il tema portante di una malattia tanto rara quanto sconosciuta ai più, Il sole a mezzanotte altro non fa che sparire tra i numerosi titoli prodotti a Hollywood nel giro di un anno. Triste ammetterlo, ma, in casi come questo, forse è anche meglio così.

Marina Pavido

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