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Il demone dell’acqua

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VOTO: 7

Incubo in mare

L’arrivo in Italia dei migranti è fonte, ormai da parecchio, di infiniti e accesissimi dibattiti a livello politico, etico, giornalistico. Il cinema stesso non può certo far finta di niente e voltarsi dall’altra parte. Ma i rischi sono evidenti: quello, ad esempio, che si cominci a produrre film soltanto per scaricarsi la coscienza o per cavalcare la moda di un tema divenuto di stretta attualità. Per fortuna, soprattutto nell’ambito dei cortometraggi, stanno spuntando fuori tra prodotti più anonimi e convenzionali anche opere realizzate con passione autentica e senza che l’urgenza cronachistica prevalga sul gusto della narrazione cinematografica. Tale era il caso, per esempio, dell’approccio più che valido tentato da Maryam Rahimi, regista che abbiamo avuto anche il piacere di intervistare, nel corto Mare Nostrum.

Ancora più spiazzante, per certi versi, è stata la visione del lavoro di Cristian Tomassini, Il demone dell’acqua: un’operazione cinematografica maggiormente rischiosa, volendo, a causa del suo mettere in discussione la dittatura del realismo in favore di uno sguardo più libero, provocatorio, allusivo. Al netto di qualche difficoltà a seguire il racconto, prima che l’allegoria si sveli completamente, l’idea ci è piaciuta molto.
Il punto di partenza sembrerebbe ricalcare una traccia ormai consueta. Il protagonista Kanu, ragazzo di colore imbarcato su una bagnarola tutt’altro che affidabile, durante il periglioso tentativo di raggiungere l’Europa dalle coste della sua Africa, porta con se una lettera famigliare, in cui lo si sprona a non farsi corrompere da stili di vita a lui estranei, quando sarà arrivato a destinazione. Ma il giovane a destinazione ci arriverà mai? L’azzardo di Tomassini è proprio narrare, anzi, alludere al suo mesto naufragio attraverso un lungo segmento onirico, visionario, in cui il protagonista (con buona pace di Apocalypse Now) veste i panni del fantomatico dittatore Kurtz: lui, nero in alta uniforme, con una segreteria bianca assai angosciata ed un misterioso nemico alle porte, ovvero un esercito di ribelli sul punto di porre fine al proprio dominio.

Così il tono del corto si trasforma all’improvviso, diventando allucinatorio, psichedelico, marziale. I contorni della distopia non vengono definiti più di tanto, nei pochi minuti a disposizione, ma l’efficacissima resa visiva lascia comunque un notevole strascico di suggestioni e una fascinazione sinistra. Il potere di Kurtz appare alla fine. La segretaria si abbandona al panico. E un’altra stregonesca figura femminile fa la sua apparizione, al momento del redde rationem. Tutto ciò, mentre la raffinata fotografia e un’accurata ricostruzione scenografica, con l’aiuto di trucchi visivi non invadenti, stabiliscono una rapsodica correlazione tra l’acqua che nella realtà si sta portando via la vita del ragazzo africano e quel mondo decadente, illusorio. Strano cortocircuito tra stringenti problematiche sociali e immaginazione, Il demone dell’acqua, che pur generando qualche perplessità diegetica si distingue per l’apprezzabilissima cura formale e per una non banale trasfigurazione del presente.

Stefano Coccia

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