C’era una volta…E da qualche parte c’è ancora
Al giorno d’oggi molti oggetti, molte azioni, molte abitudini sembrano essere stati dimenticati. Anche se hanno fatto parte della nostra vita e della nostra storia. Lo stesso vale – purtroppo – per alcuni mestieri. Primo fra tutti, quello dell’artigiano. Eppure, nel suo ultimo documentario – Il fiume ha sempre ragione, presentato in anteprima all’ultima edizione del Biografilm Festival – Silvio Soldini ci regala la preziosa esperienza del venire a contatto con un mondo che sembra appartenere ad un altro secolo, addirittura ad un’altra epoca.
Alberto Casiraghy abita ad Osnago ed ha trasformato la sua abitazione in una piccola casa editrice vecchio stampo – con un’antica macchina a caratteri mobili stampa piccoli – specializzata nella pubblicazione di libri di poesie ed aforismi. Josef Weiss abita poco lontano da Alberto e – mediante una particolare tecnica da restauratore – lavora come grafico, collaborando con la piccola bottega dell’amico. I due sembrano decisamente vivere in un mondo a sé stante.
Silvio Soldini – nel corso della sua prolifica carriera – vanta una produzione molto variegata: dalle commedie ai film drammatici, fino alla realizzazione di cortometraggi e documentari. Tutte le sue opere, tuttavia, presentano un comun denominatore: una forte componente fiabesca (talvolta anche, volendo esagerare, surreale), oltre ad un tono di leggerezza unito – allo stesso tempo – ad un’importante indagine antropologica. Ed è questo anche il caso di Il fiume ha sempre ragione, dove lo spettatore viene letteralmente catapultato all’interno di un mondo in cui le vecchie tradizioni, il lavoro manuale e – non per ultima – la poesia fanno da protagonisti assoluti.
I due protagonisti – Alberto e Josef – vengono seguiti passo passo nel loro lavoro, con intensi primi piani sulle loro mani all’opera, sui loro strumenti e sulle loro creazioni. Entrambi, con pazienza e dedizione, non si stancano di raccontarci i vari procedimenti di lavorazione e quello che tutto ciò significa per loro. Ed è proprio la lentezza – unita ad una piacevole sensazione di nostalgia e di pace – a scandire i ritmi di questo ultimo lavoro di Soldini. Analogamente all’acqua di un fiume, le giornate dei due artisti-artigiani scorrono con calma e serenità, quasi all’opposto di ciò che, al giorno d’oggi, sembra essere diventata la nostra quotidianità. Gli stati d’animo dei due protagonisti e la grande passione per il loro lavoro – di conseguenza – si rivelano una vera e propria dichiarazione d’amore alla vita – proprio come sta a suggerire il loro ultimo dialogo sulle rive del fiume, insieme all’Inno alla gioia di Beethoven in chiusura.
L’unica pecca del lavoro di Soldini, paradossalmente, può essere individuata proprio in questa ultima scena, la quale – a differenza dei momenti precedenti in cui il realismo ha fatto da protagonista assoluto – risulta decisamente artefatta e “stride” quasi con il resto del documentario, in quanto proprio il sopra citato dialogo tra i due uomini appare eccessivamente costruito. Peccato veniale, ma non mortale, però. Il fiume ha sempre ragione, infatti, resta un piccolo gioiello all’interno del panorama cinematografico contemporaneo. Una sorta di favola che ci permette di prendere una bella boccata d’aria fresca e di evadere dal quotidiano, anche se solo per poco più di un’ora.
Marina Pavido