Attese e ripartenze
E’ un autentico intreccio di vite quello che si consuma in Ieri e domani, cortometraggio scritto e diretto da Lorenzo Sepalone, fresco vincitore del premio per la migliore regia nella sezione “Corti Puglia” della 15esima edizione del Sa.Fi.Ter.
Il film racconta la storia di due solitudini che si sfiorano in una città dell’Italia meridionale. Vito, medico legale taciturno e misterioso, è legato al ricordo di un amore finito fino a quando l’incontro con una studentessa stravolge il suo ordinario. Nadia, moglie di un malfattore, escogita un intrepido piano per porre fine alle violenze che subisce dal marito. Tra l’impossibilità di obliare il passato e la speranza di un futuro migliore, i due protagonisti intraprendono un viaggio esistenziale tra fermate, attese e ripartenze.
Leggendo la sinossi e dopo averne visto e apprezzato gli sviluppi sul grande schermo nel corso della seconda tappa della kermesse pugliese, la mente non può non tornare agli intrecci esistenziali, fisici ed emozionali, che hanno caratterizzato il sodalizio di scrittura tra Alejandro González Iñárritu e Guillermo Arriaga. Il modus operandi e l’architettura drammaturgica, con le giuste distanze del caso in termini di esiti, sono le medesime che hanno fatto da base per la cosiddetta “Trilogia sulla morte” di Iñárritu: (Amores perros, 21 grammi e Babel), che ritroveremo anche in Le tre sepolture di Tommy Lee Jones, The Burning Plain dello stesso Arriaga o in Crash – Contatto fisico di Paul Haggis. Persone apparentemente lontane, che sembrano non avere nulla in comune, al contrario hanno dei fili invisibili che ne collegano le esistenze e ne influenzano il destino. In Ieri e domani questi fili si intrecciano a una fermata dell’autobus.
Il cineasta foggiano porta sullo schermo un dramma sospeso tra mistery e crime, dove la tensione latente, il non detto e le trame sotterranee, dettano le regole del gioco e scandiscono i tempi e i ritmi del racconto. La timeline si trasforma così in una sorta di mosaico nel quale i tasselli vanno a trovare di volta in volta la rispettiva posizione, quanto basta per rivelare al pubblico di turno il disegno totale, quello di una storia di dolore, sofferenza e sopraffazione. Il tutto con un finale aperto che rilancia la palla allo spettatore.
Ma è la regia di Sepalone, precisa ed essenziale, sospinta dalla fotografia livida e desaturata firmata da Ugo Lo Pinto, la base solida sulla quale poggia un’opera che può contare anche sull’apporto davanti la macchina da presa da un efficace cast, dove spiccano Fabrizio Ferracane e Nadia Kibout.
Francesco Del Grosso