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Hitler contro Picasso e gli altri

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VOTO: 8

L’ossessione del Führer per l’Arte raccontata da Toni Servillo

Com’è possibile essere indifferenti agli altri uomini? La pittura non è fatta per decorare appartamenti. È uno strumento di guerra offensivo e difensivo contro il nemico.
Pablo Picasso

È su queste parole che si articola Hitler contro Picasso e gli altri – L’ossessione nazista per l’arte, il documentario di Claudio Poli prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital, con la partecipazione di Sky Arte HD, che verrà trasmesso in anteprima mondiale nei cinema italiani il 13 e 14 Marzo.
Un percorso lungo il periodo più buio della storia moderna, non solo per gli esseri umani, ma anche per le loro opere d’arte, accompagnato dalla pacata voce di Toni Servillo sulle note della colonna sonora originale di Remo Anzovino.
Ma se si esaminano attentamente le parole di Picasso, si evince che la distruzione, o, meglio ancora, la fredda indifferenza verso gli esseri umani perpetrata dal regime nazista , non può esistere senza un’analoga pulsione nei confronti delle loro opere d’arte. Un delirio, che, generando una classificazione in esseri umani di “serie A” e di “serie B”, si è riversato anche sulle loro opere, mettendo al bando la cosiddetta “arte degenerata cosmopolita e bolscevica”, e contrapponendovi l’arte ariana.
Guidato da questa folle dottrina, il regime nazista nel 1937 organizzò a Monaco un’esposizione di 650 opere d’arte sequestrate in 32 musei tedeschi, case private e gallerie di collezionisti ebrei. Accompagnate dalle parole “Incompetenti e ciarlatani”, “Un insulto agli eroi tedeschi della Grande Guerra” impresse sui muri, queste opere venivano definite come non in linea con l’idea di bellezza propagandata dal regime nazista e per questo destinate a essere messe al bando. Max Beckmann, Paul Klee, Marc Chagall, Otto Dix sono solo alcuni degli artisti additati dal Regime, che, in contemporanea, organizzò, sempre a Monaco, una Grande Esposizione di Arte Germanica, di cui Hitler si occupò personalmente, che raccoglieva i capolavori di arte classica che, invece, ritraevano quel modello di “pura arte ariana” propagandato dal regime. L’obiettivo del Führer era quello di realizzare, un giorno, il Louvre di Linz, un grande museo che avrebbe raccolto tutti i capolavori classici e antichi riconosciuti come “puri”. Una vera e propria ossessione, che lo portò a contendersi le opere con Hermann Goering, convulso collezionista dell’epoca, che stava raccogliendo analoghe opere per portarle nella sua casa a Carinhall, vicino Berlino.
80 anni dopo, a Novembre del 2017, sono state inaugurate a Berna e a Bonn due mostre che raccoglievano le opere di un certo Cornelius Gurlitt, figlio ed erede di Hildebrand Gurlitt, un mercante d’arte vicino al regime nazista, incaricato al tempo di raccogliere e vendere le opere razziate. Le opere sono state rinvenute nel Febbraio 2012, in seguito a un controllo fiscale dell’appartamento di Monaco del suo erede e in una casetta situata nei pressi di Salisburgo. Si tratta di 1500 capolavori ed è stato senza dubbio uno dei ritrovamenti più significativi dell’ultimo decennio.
Sembrano abbastanza, ma sono solo alcuni dei fatti raccontati nell’interessante pellicola del regista cremonese, cui non può che conseguire un’inevitabile riflessione sul rapporto tra nazismo e distruzione dell’arte, o promozione della stessa come rappresentativa di una razza superiore, che poi è un’altra modalità di distruzione: è nello svuotamento dell’opera che si sedimenta la violenza perpetrata nei confronti di quella che si presenta come realizzazione umana; uno svuotamento talvolta accompagnato dalla distruzione fisica, talvolta no. Ma anche l’imposizione della stessa come latrice di un messaggio di disuguaglianza ne rappresenta in qualche modo l’eliminazione, poiché se ne annullano tutti i connotati politici, di ribellione, di espressione umana e di pensiero. Eliminare da un’opera le possibilità di riflessione sulla natura umana che offre e di realizzazione della stessa per mezzo della conoscenza, conservandone solo le qualità decorative, è come riconoscere la bellezza di una donna privandola delle sue capacità di pensare e di provare emozioni.
E se questo deplorevole atteggiamento può essere riconosciuto in quel regime che ha causato gli anni più bui della storia moderna, c’è da farsi qualche domanda anche su quell’atteggiamento, certamente più attuale, che trasforma l’opera d’arte in un semplice oggetto da ammirare, merce attraverso cui veicolare il cosiddetto “Made in Italy”, nel caso italiano, alla stregua di una borsa di pelle o di un paio di scarpe di cuoio.

Costanza Ognibeni

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