Burn, mommy, burn…
Ich seh ich seh (titolo internazionale: Goodnight Mommy) è una fiaba gelida e perversa che scorre tagliente attraverso piani fermi, di una compostezza raggelante e ansiogena. La pellicola di Veronica Franz e Severin Fiala, quest’ultima moglie del qui produttore Ulrich Seidl, da thriller familiare assume via via le sembianze di un horror domestico sui generis, i cui ingredienti sembrano essere la maternità negata, l’elaborazione incompiuta del lutto e altro ancora…
Presentato a Venezia 2014 nella sezione Orizzonti e candidato austriaco ai prossimi Oscar, Goodnight Mommy attraverso un clima sempre più oppressivo e paranoico ci immerge nella mente (malata?) di due ragazzini, i cui sospetti sull’identità di quella che pare essere la loro madre, si faranno sempre più forti.
L’aria sottilmente disturbata si avverte fin dalle prime sequenze, nel contrasto insistito tra la fredda ed elegante geometria della casa e la boscaglia che la circonda, verso cui i bambini cercano rifugio, in cui si muovono liberi e incuriositi. Il bosco, il buio, la luce: elementi archetipici. La luce come fonte di salvezza (o di dannazione, in questo caso?), è ciò che assume(rà) una connotazione salvifica, poiché usata dai bambini (letteralmente) come strumento chiarificatore per contrastare il buio dell’incertezza: incertezza rispetto l’identità della madre, il cui volto è coperto da bende in seguito ad un incidente che viene appena accennato, e rispetto alla loro stessa identità.
Lukas ed Elias sembrano fantasmi ai confini di un mondo freddo e respingente, sembrano bastare a loro stessi, la (presunta) madre sembra essere una figura superflua e dannosa nella loro vita. Questo è ciò che appare, e alcuni indizi farebbero pensare che dietro questo stato di cose, possa celarsi una sorta di personalità scissa del bambino in seguito a un fatto tragico, che pare lo abbia portato a negare ciò che lo circonda, e in qualche modo ad “estendere” la percezione di sé: [spoiler] Elias potrebbe essere la causa della scomparsa di Lucas, e potrebbe aver inglobato quest’ultimo in sé in una sorta di “effetto-Psycho” difficilmente reversibile; le anime speculari dei due bambini, non a caso gemelli, sembrano essere divenute un qualcosa di finito, completo e inarrestabile.
Apparenza e realtà si confondono in questo thriller gelido à la Haneke, cesellato con una freddezza, forse, fin troppo compiaciuta à la Seidl (come si diceva produttore nonché marito di una delle autrici), tanto per buttare lì dei riferimenti ovvi ma dopo tutto calzanti, almeno così ci pare: realtà distorte dalla negazione (del lutto, delle proprie responsabilità, del proprio modo di essere/esserci) il cui punto di rottura non può che essere la deflagrazione, l’annientamento di quegli elementi che sembrano riportare alla tragica realtà. Una realtà – a quanto pare – a cui adattarsi sembra impossibile, perciò meglio distruggere quegli elementi che sembrano sbattercela in faccia, e proseguire la propria esistenza all’interno di una bolla, in un perpetuo vortice d’autoindulgenza che cozza con tutto il resto.
Detto ciò: noi al “gioco”, al netto di alcuni dubbi di varia natura, ci siamo stati, ed è stato un (sadico) piacere.
Fabrizio Catalani