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Going Clear: Scientology e la prigione della fede

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VOTO: 8

Non pensare per sopravvivere

It’s easy to dismiss this as, ‘Look, this is a bunch of crackpots — people who were in Scientology for 20 or 30 years and left are all fools’. I think this documentary changes that perception.
In questa dichiarazione che M. Rinder, portavoce di Scientology dal 1982 al 2007 e tra gli intervistati del documentario del premio Oscar Alex Gibney, ha rilasciato al Rolling Stones lo scorso 19 Marzo, viene riconosciuto a Going Clear: Scientology e la prigione della fede quello che forse è il suo merito principale: la volontà di comprendere senza giudicare. Ciascuno è libero di credere in ciò che vuole, sembra ricordarci Gibney lungo tutta la durata del film, e non sono i miti di fondazione bislacchi e risibili usciti dalla penna di Ron  Hubbard che qua si intende mettere in discussione. Se la fede nella loro storicità rincuora e rasserena l’individuo, non dovrebbe esserci nulla da eccepire: come dire, il fine giustifica i mezzi. Ma se gli alti rappresentanti di un qualsiasi credo approfittano dell’arrendibilità dei suoi proseliti per lasciarsi andare a pratiche umilianti e ricattatorie, ciò va contro ogni forma di legalità e moralità, e deve divenire oggetto di denuncia.
E’ animato dallo stesso spirito l’omonimo libro di L. Wright (tra coloro che intervengono nel documentario) da cui Going Clear è tratto, e dal quale prende spunto anche dal punto di vista strutturale: allo stesso modo del lavoro di Wright, quello di Gibney è il prodotto di varie interviste, per lo più a ex membri anche importanti della Chiesa che raccontano le loro esperienze, ma anche a giornalisti e scrittori. Il tutto accompagnato da vecchi filmati sul fondatore Hubbard e da video propagandistici, girati in occasione dei raduni annuali della Chiesa.
Una frase che compare poco prima dei titoli di coda dichiara che David Miscavige (l’attuale reggente), Tom Cruise, John Travolta e altre personalità di spicco della Chiesa hanno rifiutato di partecipare al documentario o non hanno risposto all’invito.
Going Clear si concentra immediatamente sui motivi che possono spingere l’uomo medio ad entrare a far parte di Scientology; e che, attraverso le parole degli ex membri, si confermano essere quelli che ciascuno di noi conosce fin troppo bene: debolezza, sensazione di impotenza, bisogno di conforto e sicurezza. La Chiesa prometteva tutto questo: grazie ad una serie di sedute speciali denominate “auditing”, un “auditor” aiuta l’individuo a liberarsi dagli engrammi (termine preso in prestito dalla neurobiologia), tracce organiche di traumi antichi causa delle sue attuali paure e nevrosi. Alla fine del percorso la sua mente sarà “clear”, scevra da ricordi traumatici e pronta ad affrontare il mondo senza timore, e a migliorarlo.
Non stupisce quanto il documentario ci fa sapere mentre sta ripercorrendo le tappe biografiche di Hubbard: gli psicologi di Parigi liquidarono queste ed altre teorie contenute nel suo bestseller Dianetics definendole psicologia spicciola, rielaborazione debole e semplicistica di ciò che la psicanalisi freudiana aveva esaustivamente trattato più di mezzo secolo prima.
Non può quindi non sorprendere per la sua miopia e ignoranza la reazione di Hubbard ad un paragone fra il suo metodo di cura e quello psichiatrico/psicanalitico: la psichiatria ha a che fare coi matti, sentenzia con un tono di voce tra il divertito e lo sprezzante. L’accostamento di seguaci di Scientology a “questa gente” è offensivo, tanto più che i suoi procedimenti non prevedono di far stendere su lettini o cose del genere (poco dopo, ironia vuole che una foto in bianco e nero ci mostri una donna stesa proprio su un lettino, con Hubbard accanto intento a decifrare lo “psicometro”, uno strumento in grado di localizzare l’engramma patogeno).
Se non altro, almeno una cosa corrisponde a verità: l’intento di Hubbard non era quello di essere riconosciuto nell’ambiente della psicologia. Hubbard scrisse Dianetics con la speranza di renderlo il testo fondativo di una nuova religione, perché fondare una religione è l’unico modo veramente sicuro per fare soldi. Ma Scientology soddisfa davvero tutti gli aspetti di un culto religioso?
Innanzi tutto, come viene giustamente fatto notare da uno degli intervistati, non esiste alcuna religione che si sforzi di mantenere nascoste le sue dottrine fondamentali, che risultano avvicinabili tanto dal fedele “alle prime armi” quanto dalle persone estranee al culto, le quali sono così in grado di contemplarlo e di studiarlo. Il mito che si suppone stia alla base della Chiesa di Scientology (al di là del suo discutibile contenuto), invece, è custodito segretamente e viene reso noto ai proseliti solo dopo che questi hanno raggiunto un certo livello di O. T., Operating Theatan, uno stato spirituale al di sopra della condizione Clear. Il che causa una situazione surreale, nella quale un membro recente o comunque non di vecchia data di Scientology non sarà in grado di dirvi una parola sulle cose alle quali è necessario credere ciecamente per far parte della Chiesa stessa, soprattutto perché non ha ancora “donato” abbastanza soldi (ad ogni livello di O. T. corrisponde una cifra, e mano a mano che si sale di livello questa aumenta). Tutto ciò ricorda un culto misterico/iniziatico piuttosto che una religione.
In secondo luogo, se viene adeguatamente fruita e non è eccessivamente dogmatica, una religione può offrire nuovi stimoli all’attività di pensiero, ispirare riflessioni riguardo a temi precedentemente mai affrontati e in questo modo favorire la libertà dell’individuo. Quel che sembra fare Scientology è l’esatto opposto: con parole suggestive persuade gli adepti a mettersi interamente nelle sue mani, così che si comportino esattamente secondo le direttive della Chiesa senza mai metterle in dubbio, pena l’inflizione di sofferenze fisiche e psicologiche. Di fronte a certe punizioni, ma soprattutto di fronte alla grande fatica che comporta  l’atto del pensare, molti individui hanno preferito credere a promesse nebulose, auto-privandosi del diritto al dissenso e alla critica: un comportamento per molti versi simile a quello esibito da  A. Eichmann, che in occasione del processo a Gerusalemme affermò di aver agito in quel modo perché così esigevano gli ordini, e non gli era mai passato per la testa di metterli in discussione.  Con la significativa differenza che, al contrario di Eichmann, con un simile atteggiamento i seguaci della Chiesa han finito per danneggiare unicamente loro stessi.
Anche sotto il punto di vista economico Scientology ha ben poco in comune con una religione. Innanzi tutto, l’agognato riconoscimento in tal senso da parte del Fisco, e quindi la detassazione della Chiesa, è avvenuta sotto minacce e ricatti: non scordiamoci che la prima risposta del Fisco alla richiesta di detassazione fu negativa. Quando ad un culto viene approvato lo statuto di religione, questo viene detassato affinché i suoi guadagni vengano interamente destinati all’assistenza dei fedeli. Non così avviene in Scientology, dove i soldi estorti ai suoi membri con tartassamenti telefonici e pedinamenti, e spacciati per donazioni, sono interamente utilizzati dalla Chiesa per difendersi dalle numerosissime accuse legali, che portano all’attenzione i metodi violenti dell’organizzazione.
La narrazione di questi abusi è  indubbiamente la parte più impressionante del documentario: viene tratteggiata l’immagine di un leader, David Miscavige, estremamente fanatico e paranoico, tanto da far tornare in mente recenti studi psicologici su personalità dittatoriali. Il modo con cui Stalin eliminò tutti quelli che tentavano di sottrarsi ai suoi obblighi ricorda innanzi tutto la Riabilitation Project Force, un progetto volto al reindrottinamento degli elementi sospetti: l’ex membro Spanky racconta del degrado nel quale i dissidenti erano costretti a sopravvivere, di come la sua bambina ancora in fasce venisse talmente trascurata da giacere in un materasso bagnato d’urina e in mezzo alle mosche.
Ma ancora più del R. P. F., è la vicenda del Buco (“The Hole”) a rimanere impressa per la sua esemplarità: Miscavige, all’apice delle sue inflazioni paranoidi, spostò i membri “inaffidabili” in una roccaforte del deserto californiano, una costruzione priva di letti sui quali dormire e costantemente sorvegliata dalle guardie. I fuoriusciti da Scientology parlano dei soprusi e delle umiliazioni che hanno dovuto sopportare nell’edificio (molto spesso per mano dello stesso Miscavige), e che la Chiesa voleva far passare per “disciplina ecclesiastica”, cioè per parte della sua religione. Gli intervistati raccontano di un episodio particolarmente agghiacciante, del quale non vogliamo anticipare nulla, ma che è interessante per i suoi rivolti psicologici: quando si presentò loro l’occasione di essere espulsi dal Buco (provvedimento che ovviamente Miscavige presentò come una punizione), piuttosto che velocizzarne la realizzazione, si gettarono tutti in una lotta convulsa. Combattevano per restare nel Buco. Un ex membro, in un linguaggio forse involontariamente platonico, paragona la condizione degli abitanti del Buco a prigionieri incatenati, che non vogliono sapere nulla di quanto avviene al di fuori della cattività alla quale sono stati costretti.
Merita infine una menzione quel “Project Celebrity” inaugurato già da Hubbard con il fine di pubblicizzare l’associazione, grazie alla partecipazione di volti noti nell’industria del cinema hollywoodiano; e, effettivamente, quando si sente parlare di Scientology, troviamo quasi sempre citati tra i suoi proseliti varie celebrities, come se questo dovesse essere un incentivo a prendere parte alla Chiesa.
A differenza del membro base di Scientology, il quale non riceve assolutamente alcunché in cambio delle sue dispendiosissime donazioni, i seguaci famosi hanno il privilegio di godere dei considerevoli benefici che la Chiesa è in grado di elargire: proprietà immobiliari, impianti tecnologici, favori di vario tipo.
Il documentario si concentra in particolar modo sulla figura di Tom Cruise, il testimonial più noto e più attivo della Chiesa (rispetto, ad esempio, a John Travolta). Viene ripercorsa l’inquietante vicenda dell’allontanamento di Nicole Kidman dalla star, che scopriamo essere stata architettata proprio da Scientology (nel suo lessico “disconnection” è il termine che indica la separazione di un membro da una persona ritenuta minacciosa per gli ideali della Chiesa): questa riteneva che la relazione sottraesse a Cruise il tempo che avrebbe dovuto dedicare alla fondazione, e come se non bastasse la Kidman era figlia di un noto psicologo australiano, la categoria più malvista da Scientology.
E’ difficile non rimanere attoniti di fronte ai filmati nei quali Cruise parla di Scientology: il suo sguardo è come allucinato, attraversato da ripetuti lampi di follia, il tono è categorico e la sua inflessione non lascia dubbi sulla natura fanatica dei pensieri che articola. Quando, su quel palco incorniciato da simbologie simil-naziste, viene insignito della prestigiosa medaglia della libertà e si inchina di fronte al ritratto del defunto Hubbard, viene spontaneo domandarsi cosa gli stia passando per la testa. Ma non è semplice rispondere. Il suo pensiero potrebbe essere irretito.
Sarebbe auspicabile che un prodotto di semi-finzione come Going Clear avesse ripercussioni sulla realtà: una prospettiva del genere non sembra poi così impossibile dopo che The Jinx, recente miniserie documentaristica anch’essa targata HBO, ha posto le condizioni necessarie alla cattura del pluriomicida R. Durst. Speriamo quindi che il bel lavoro di Gibney venga preso in considerazione dalle autorità affinchè vengano presi i dovuti provvedimenti, sempre che il potere insidioso di Scientology non sia arrivato anche alle sfere alte.

Ginevra Ghini

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