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Even Hell has its Heroes

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VOTO: 7,5

Earth: the Hearth of Seattle

In LP DOC, una delle sezioni più interessanti e stimolanti di SEEYOUSOUND 2024, ci siamo fatti volentieri cullare da ciò che ci è parso non il classico documentario musicale, bensì una sorta di road movie fatto di sonorità ossessive nel cuore della provincia americana. Pur figurando gli Earth con il carismatico frontman Dylan Carlson (si rischia di restare ipnotizzati persino dallo scorpioncino tatuato sul suo volto) sempre al centro della narrazione. Anzi, rischiando la blasfemia, vorremmo condividere la sensazione che quando Even Hell has its Heroes concede troppo spazio alle informazioni sulla band, quando a prevalere sono le testimonianze dei singoli componenti e quindi il parlato (con il corollario di sottotitoli che partono a raffica), una parte della magia si disperde. Sì, magia. Perché in fondo il film diretto da Clyde Petersen è una ballad in cui il minimalismo esasperante ma al contempo ammaliatore del drone doom metal dialoga incessantemente con le immagini.

La batteria di Adrienne Davies che pare muoversi al rallentatore. Note tenute fino allo sfinimento, Un sound che produce vibrazioni continue. Insita in quello che taluni considerano il metal più lento di sempre, ossia la musica degli Earth, vi è una ricerca portata indubbiamente all’estremo che in certi momenti sfiora quasi la ieraticità, l’ipnosi collettiva, un etereo misticismo. Si provi ad ascoltare un album come The Bees Made Honey in the Lion’s Skull (titolo alquanto lisergico in sé), cui non a caso viene concessa una finestra speciale nel corso del film, se si vuole avere un contatto di primordine col mood in questione.
La loro musica diventa però in tale lavoro cinematografico, spinto ancor più fuori da qualsiasi flusso temporale ordinario dall’uso del Super 8, l’insostituibile colonna sonora di una sorta di viaggio iniziatico nella West Coast degli Stati Uniti. L’orizzonte degli eventi è rappresentato qui da Seattle. Laddove lo spettro di Kurt Cobain, che di Dylan Carlson era stato coinquilino e migliore amico, viene a far parte del Mito.
Le immagini continuano a nutrirsi delle note solenni e ieratiche degli Earth: lunghi convogli ferroviari che attraversano il deserto, la barca che si allontana da un molo solitario, le stesse malinconiche “cartoline” di Seattle. Sembrerebbe di assistere a una sorta di opera figurativa iperrealista, rianimata e fatta vibrare dalla musica. Ma in questo ritratto a tratti livido, a tratti annoiato, a tratti beffardo, a tratti corroso dall’umor nero di un angolo della provincia americana che giusto il Grunge aveva saputo portare alla ribalta, certe amare riflessioni di Dylan Carlson (specie quando è la vita a Seattle ad essere paragonata con quella di Lo Angeles) conducono inevitabilmente a qualche notazione critica su quei comparti della società e della cultura statunitense (specie se connessi al settore tecnologico e dei media) che vorrebbero porsi come innovativi, ma sono invece più vuoti e spenti che mai.

Stefano Coccia

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