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Esistenza zero

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VOTO: 8

Utopia o distopia?

Tra gli autori che stanno emergendo dal sottobosco delle produzioni cinematografiche indipendenti orientate verso determinati generi, qui in Italia, vi è senz’altro Matteo Scarfò. Che si tratti di lungometraggi o di cinema breve, assai diversificate sono le tracce seguite finora dal cineasta classe 1986: dalla “horror comedy” in Ricordati di santificare le feste agli scenari apocalittici de L’ultimo sole della notte, dalla piccola space opera che prende forma in Pale Blue Dot: a Tale of Two Stargazers fino al documentario di ambito letterario, con Anna Maria Ortese: Viaggio in Calabria. Mercoledì 3 dicembre alle 20:15, presso il Teatro Flavio (Via Giovanni Crescimbeni 19) di Roma, è prevista alla presenza del cast e del regista stesso l’anteprima di Esistenza Zero, lungometraggio che per chi scrive si candida subito ad essere il più stratificato e maturo tra i film da lui realizzati finora.

Il rinnovato rapporto di Matteo Scarfò con la science fiction cinematografica passa qui attraverso un soggetto che riprende spavaldamente temi, aree d’interesse e riferimenti iconografici dell’universo cyberpunk, ricollegando tutto ciò a un presente in cui il mondo trema di fronte a orizzonti nuovi, all’interno dei quali disgregazione sociale, identità digitali, perdita di valori e un senso di insicurezza (tanto economica che affettiva) sempre più diffuso sembrano rimodellare le coordinate del vivere civile in direzioni a dir poco pericolose. E comunque incerte. Eppure, con una certa profondità l’autore non è così netto nel disegnare qui il confine tra distopia e utopia, lasciando intravvedere nel timido affacciarsi di una nuova dimensione comunitaria, di nuovi meccanismi solidali, una possibile via d’uscita.
Protagonista della storia è Maya, giovane donna divenuta cyborg grazie a particolari innesti che lavora per la Spider, una multinazionale intenda a vendere alle persone sedotte da sogni artificiali la possibilità di vivere vite perfette a pagamento, in quel mondo alternativo, “virtuale”, che sta così prendendo forma. Quando Maya scopre che la sua intera esistenza è in mano alla corporazione, ciò genera quella crisi identitaria, etica e di obiettivi che la porta a cercare di affrancarsi da tutto. Braccata dal fondatore della Spider, il tecno-utopista Maximilian Volkrof coi suoi disinvolti sicari, Maya intraprende un viaggio in quel mondo digitalizzato — paradiso artificiale, cioè, dove libertà e fantasia sembrano infinite – che però rischia già di trasformarsi in una copia sbiadita della realtà di partenza, talmente cinica e brutale. Fortunatamente, però, alcuni di coloro che si sono ivi “risvegliati” vanno parimenti tentando, in piccoli gruppi, di dar vita a un modello sociale di gran lunga più umano, sostenibile e libertario. Dando il là, pertanto, ad aurorali esperimenti sociali che possono persino ricordare quel “Socialismo utopico”, di marca ottocentesca, del quale i Falansteri di Charles Fourier restano forse la traccia più forte, significativa.

Minimalista, ma non troppo, Esistenza zero si avvale di trucchi digitali che lasciano intravvedere mondi alternativi senza prevaricare l’elemento umano, rappresentato peraltro da interpreti che assicurano un pathos insolito alla narrazione; in primis la protagonista Silvia Fasoli, passando poi per i vari Andrea Lupia, Alessandra Piscopo, Pierre Bresolin, Catia Demonte (autrice anche della splendida fotografia), Francesca La Scala e Michela Aloisi, tra gli altri. Impossibile poi, almeno per noi, non citare il cameo di un altro alfiere del cinema indipendente in Italia, Federico Sfascia, qui nei panni di un quadro della Spider responsabile del reclutamento. E con le musiche futuristiche di Lorenzo Sutton a cementare ulteriormente l’appeal emotivo dell’opera.

Stefano Coccia

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