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Dressage

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VOTO: 6.5

Cavallo indocile

Il termine “dressage” significa addestramento di animali, soprattutto di cavalli, in cui l’addestratore educa e impartisce determinate lezioni di portamento nelle varie competizioni. Nello specifico, è la prima fase di ammaestramento per l’equitazione, che complessivamente consta di tre prove. In Dressage questa preparazione la vediamo applicata al cavallo che la giovane Golsa accudisce e che sogna di poter comprare. Allo stesso tempo, translando un poco il termine e applicandolo alla protagonista, il “dressage” è l’educazione che la famiglia e la società mussulmana vorrebbero impartire a lei, giovane “cavallo” libero e bizzarro che non riesce a restare quieta e domata nel proprio recinto che gli è stato costruito intorno. Le continue briglie che le vengono forzatamente applicate le rifiuta, perché non accetta queste ataviche catene, soprattutto se c’è una disparità di giudizio, che punisce le donne e non tocca gli uomini.

La pellicola Dressage, vista al Festival Cineuropa#32, diretta da Pooya Badkoobeh è un altro “documento” sulla ristretta realtà che ancora attanaglia la società musulmana. Un atteggiamento di stampo grettamente tradizionalista, in particolare verso le giovani donne, che si era già visto nel potente dramma Mustang (2015) di Deniz Gamze Ergüven. Nascere donna in un paese musulmano, se non si tollerano queste leggi, significa o dover accettare completamente questi regolamenti, oppure ribellarsi e/o scappare. La protagonista Golsa, adolescente di una famiglia medio borghese di Teheran, sin dall’inizio la vediamo che è indocile, perché sta scappando a perdifiato assieme al fidanzato, dopo una rapina a un piccolo supermercato. Un furto, tra l’altro, fatto solo per provare il puro brivido di una rischiosa avventura; una “marachella” fatta da lei e il fidanzato con altri tre amici (tutti di estrazione borghese) per uscire dalla monotonia della vita quotidiana. Il post-ruberia, particolarmente dopo lo schiaffo dell’amato compagno Amir, si trasformerà per lei in un chiarissimo segnale/risveglio di come si senta ingabbiata in questo mondo. Il suo atto di ribellione consiste nel conservare il video della telecamera a circuito chiuso che ha ripreso la rapina. E il bellicoso “ricatto” verso i compagni, e di rimando ai loro famigliari, si trasforma anche in un testa a testa verso Amir, che schiaffeggiandola gli ha mostrato che non è differente dagli altri. Questa decisa azione gli metterà tutta la gente che ha intorno contro. La sua famiglia, inizialmente indignata e delusa per quello che ha fatto, sarà però l’unica con il tempo a proteggerla, seppure non possa perdonarla. Non potendo cambiare lo stato delle cose, e con la sparizione dell’amato cavallo, la giovane Golsa preferisce “scappare” a modo suo, impartendo almeno una lezione o, per meglio dire, dare una punizione alle persone che la circondano. Dressage, sceneggiato da Hamed Rajabi, seppure non abbia la robustezza di Mustang, è un valido esordio del giovane regista Pooya Badkoobeh, che riesce a comporre un triste spaccato sulle condizioni delle giovani donne nelle società musulmane. Perennemente attaccato a Golsa, interpretata ottimamente dall’esordiente Negar Moghaddam, potrebbe definirsi un bildungsroman, dovendo la protagonista intraprendere, in solitaria, un percorso di maturazione e cambiamento. Dressage, infine, è anche interessante perché l’attaccamento affettivo che prova Golsa verso il cavallo, simbolo di libertà, ricorda il sentimento che provavano Pasquale e Giuseppe, i due bambini di Sciuscià, verso l’equino che avevano comprato. Per questi giovani, Golsa e i due lustrascarpe, il cavallo è un simbolo di speranza per sopravvivere.

Roberto Baldassarre

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