L’orrore nasce nella psiche umana
Avevamo già avuto modo di assistere alla proiezione del capolavoro di Kiyoshi Kurosawa all’edizione 2023 del Far East Film Festival, ma non avevamo avuto modo di scriverne; dal 3 aprile Cure, l’horror del 1997 che ha dato fama mondiale al regista e favorito la nascita del J-horror, è nelle sale italiane in versione restaurata 4k, distribuito dalla Double Line.
Uscito poco prima di Ringu, l’altra pellicola fondamentale per il fenomeno J-horror, Cure si distanzia dal genere per la sua impronta psicanalitico-filosofica, mescolando l’horror con il thriller in un viaggio nei meandri nascosti della psiche umana, per portare alla luce istinti repressi ed ignorati. La storia parte come un detective movie: una serie di uccisioni misteriose hanno in comune una grande X incisa sul cadavere ed un assassino in stato confusionale che non sa spiegare la motivazione del suo agire. Il detective Takabe (Kōji Yakusho) indaga su questa serie di delitti, coadiuvato dallo psicologo Sakuma (Tsuyoshi Ujiki), arrivando alla conclusione che gli assassini hanno agito sotto ipnosi; i sospetti si concentrano su un giovane studente di psicologia, Mamiya (Masato Hagiwara), esperto della pratica del mesmerismo. In parallelo, Kurosawa mostra la difficile vita privata di Takabe, profondamente preoccupato per la moglie Fumie (Anna Nakagawa), affetta da seri problemi mentali, la cui cura fiacca psicologicamente il detective. Poco alla volta inizia un lungo duello psicologico tra Takabe e Mamiya, con conseguenze imprevedibili ed imponderabili.
Cure è curato, ben venga il gioco di parole, sotto ogni punto di vista: la sceneggiatura, dello stesso Kurosawa, è precisa e puntuale, intrigante ed acuta, coinvolgente sino all’ultimo frame, coadiuvata da una fotografia (Tokusho Kikumura) eccellente e musiche (Gary Ashiya) che ben si inseriscono nella narrazione. Anche le scenografie, dalla lavanderia di cui usufruisce Takabe alla sua abitazione, dai luoghi dei delitti alla ‘casa’ di Mamiya, usata dal giovane per crudeli esperimenti sugli animali, fino alle stanze del manicomio in cui questi viene rinchiuso, sono curate nei dettagli ed intriganti, mentre la semplicità dei costumi ben riflette la società giapponese dell’epoca. Tutti tasselli che si incastrano alla perfezione, il cui risultato è un puzzle originale, seducente, stuzzicante e coinvolgente; perchè in fondo i protagonisti mostrano ciascuno un lato oscuro comune all’essere umano, anche l’integerrimo Takabe, ed il ruolo di Mamiya è quello di catalizzare le pulsioni ignorate dalle sue vittime liberandole dal proprio inconscio, fino all’esito distruttivo ed autodistruttivo al tempo stesso. Una discesa agli inferi senza fine nelle profondità della psiche umana che Kurosawa descrive con maestria ed intelligenza, riuscendo nell’impresa di mostrare l’orrore (e provocare terrore) nelle piccole cose, dalla fiamma di un accendino allo stillicidio di una goccia d’acqua che cade.
Michela Aloisi