La vita di Claire
Nella pellicola L’albero di Antonia (1995) di Marleen Gorris, la protagonista, una donna matriarcale ma dagli atteggiamenti caparbiamente liberali, con gli anni era riuscita a creare intorno a se una famiglia unita (di sole donne). La storia prende avvio quando Antonia si rende conto che quello sarà il suo ultimo giorno di vita, e decide di riunire tutti i suoi affetti familiari per dargli l’addio. Da questo incipit comincia il flashback che rievoca la sua lunga e articolata vita. In Claire Darling (titolo originale La dernière folie de Claire Darling) c’è un’idea centrale e una struttura compositiva similare. Focus della storia è Claire, una donna che ha avuto una frastagliata e lunga vita, che con il passare degli anni si è vista smantellare pezzo per pezzo la famiglia. Presaga anch’essa che quello sarà il suo ultimo giorno di vita, decide di eliminare tutti gli affetti mobiliari, per non lasciare più traccia di se. Da questa introduzione, e durante lo svolgimento narrativo, si susseguiranno vari flashback a ricomporre il suo passato. Da un lato, quindi, una donna risoluta e con un passato felice, dall’altro una donna fragile e con un trascorso doloroso, ma ambedue le pellicole ritraggono a tutto tondo una figura femminile e la complicata vita che gli ruota attorno.
Claire Darling è tratto dal romanzo di successo “Faith Bass Darling’s Last Garage” (2013) di Lynda Rutledge, scrittrice al suo esordio nella novellistica. Non vi è certezza se la scrittrice abbia attinto anche da L’albero di Antonia, che tra l’altro era un manifesto femminista, ma in questa storia vi spira, almeno nella vendita del mobilio, simbolo evocativo del passato, un poco di Raymond Carver e del suo racconto “Perché non ballate?”, contenuto nella raccolta “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore?” (1981). I vari oggetti portano con sé il ricordo di una storia vissuta, e nella pellicola, a volte, sono il mezzo da cui scaturisce il flashback. La trasposizione cinematografica del romanzo è stata fatta da un team di quattro donne composto, oltre che dalla regista Julie Bertuccelli, dalle sceneggiatrici Marion Doussot, Mariette Désert e Sophie Fillières. Otto mani femminili che hanno apportato qualche modifica (ambientazione e nomi) a questa storia che narrava di ricordi e dolori, e come rimarca il titolo francese colorando la novella con toni più da favola, che ondeggiano tra il grottesco e il cupo. Un tipo di narrazione che può ricordare la sua precedente opera, L’albero (2010). Nella lenta ricomposizione del puzzle esistenziale di questa Claire, vediamo com’è sorta la sua pazzia. Se inizialmente la percepiamo come un’alienata in preda a un’ultima follia, nei vari pezzi del passato che ci giungono, vediamo il susseguirsi dei drammi che ha dovuto subire. La sua fragilità è solo frutto di un tumultuoso trascorso in cui ha sempre cercato di lottare. A lato di quest’addio, vi è anche la riconciliazione con la figlia, che segue il percorso usuale di questo tipo di rappacificamenti. Julie Bertuccelli, molto più nota come documentarista, con Claire Darling, visto al Festival Cineuropa#32, spinge molto su quest’aspetto favolistico, in cui la realtà quotidiana fa ampiamente spazio alle visioni della protagonista. Nel racconto pulsano i momenti passionali e appassionanti, a significare che la pellicola non vuole lesinare i sentimenti, ma nel procedere la storia si fa troppo ricattatoria, seppure il finale punti a essere stravagante con una reminiscenza di Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni. A incarnare la protagonista vi è un’incanutita Catherine Deneuve, che conserva ancora il fascino di una diva, e nel ruolo della figlia Marie vi è la sua vera figlia Chiara Mastroianni. Certamente una scelta felice e funzionale a livello recitativo, ma che non era del tutto necessaria.
Roberto Baldassarre