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Cada gesto

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VOTO: 7

Di mano in mano

Chi come noi ha già avuto precedenti contatti con la produzione audiovisiva di Valentina Alvarado Matos sa ancora prima di avventurarsi nella visione del progetto di turno a cosa andrà incontro. Il modo viscerale e assolutamente personale di dare forma e sostanza al filmico la rende immediatamente riconoscibile. Ci sono infatti una serie di ingredienti ricorrenti che ne caratterizzano la ricetta. L’artista e regista venezuelana di adozione spagnola predilige il lavoro con un collage inteso come forma-contenitore in grado di inglobare una varietà di media, fra cui carta, cinema, ceramica e altro ancora. Questi diventano gli “strumenti” con e attraverso i quali l’autrice costruisce l’architettura dell’opera in questione.
L’ultima fatica dietro la macchina da presa sulla breve distanza dal titolo Cada gesto, presentata nel concorso della 60esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, in tal senso non fa eccezione, riproponendo al fruitore un cortometraggio che vede nuovamente i suddetti media protagonisti come è stato per la trilogia Film Letters, per Cruce postal: del otro nuevo viaje, piuttosto che per Levantamiento de una isla. In tutte queste pellicole, compresa la più recente, l’autrice percepisce l’immagine e la sua materialità da una prospettiva articolata sull’identità nella diaspora, sul paesaggio e sul gesto. Gesto, in particolare, quello della mano che delinea, da un punto di vista macroscopico, una città intesa come scenario tattile a partire da varie donne artigiane impegnate nelle loro attività manuali. Sono le mani di sei donne, ognuna al lavoro nella propria bottega artigiana in quel di Barcellona, che creano oggetti con la terracotta, tagliano, cuciono, impagliano sedie, colorano tessuti. È un modo, quello scelto dalla Alvarado Matos, per restituire una memoria e al contempo per dipingere sullo schermo tanto un ritratto audiovisivo di una metropoli quanto rendere il giusto omaggio a un artigianato purtroppo in via di estinzione.
In Cada gesto sono fondamentali i dettagli ed è attraverso di essi, impressi sulla pellicola 16mm e incorniciati nel 4:3, che la regista classe 1986 di Maracaibo monta una sorta di coreografia alla quale però non partecipano né i volti tantomeno i corpi nella loro interezza, lasciati volutamente fuoricampo così come gli oggetti frutto del lavoro. Di questo infatti non vedremo mai il risultato, perché all’autrice interessa documentare e mostrare solamente l’atto creativo. Un processo, questo, che si trasforma in una vera e propria esperienza immersiva e performativa in cui la componente sonora riveste un ruolo fondamentale. I suoni che percepiamo di sottofondo e i rumori che fanno gli strumenti hanno di fatto la stessa importanza degli elementi visivi: dalle forbici che tagliano la stoffa al tintinnio degli spilli che cadono in un contenitore di metallo, dal rotare del tornio per la ceramica a un taglierino che affila la punta a una matita, passando per il rumore di un martello e di uno scalpello su una tavola di legno. Ecco che il contributo del sound design di Carlos Vásquez Méndez si fa regia, dettando i tempi e accompagnando la successione delle inquadrature come fosse la bacchetta di un direttore d’orchestra.

Francesco Del Grosso

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