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Burn Out

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VOTO: 6.5

Corsa all’inferno

Tra gli otto titoli selezionati per il concorso della 27esima edizione del Noir in Festival c’è stato spazio anche per Burn Out, sbarcato alla kermesse lombarda in anteprima mondiale a una manciata di settimane dall’uscita nelle sale francesi il 3 gennaio 2018. A firmalo il regista e sceneggiatore transalpino Yann Gozlan, uno che in entrambe le vesti (suo lo script di La meccanica delle ombre) ha dimostrato di sentirsi a suo agio e di sapersi muovere con estrema disinvoltura nel solco del cinema di genere. In tal senso, la sua ultima fatica dietro la macchina da presa, adattamento cinematografico in parte revisionato del romanzo omonimo di Jerémie Guez, ne incarna alla perfezione il modo di fare e concepire la Settima Arte, in particolare quello di genere. Ed è lui stesso a confermarlo quando nelle note di regia dichiara: “Mi piacciono da sempre le storie forti, un piede nel genere e l’altro nella realtà. Al mio terzo film ho deciso di spingere il pedale e di far divertire il pubblico pur restando fedele alla mia visione del mondo. Che non è propriamente allegra”.
In effetti, la sua opera terza, ma anche i lavori firmati sulla breve distanza, rispecchiano in pieno la suddetta impostazione e idea di cinema. Un cinema, il suo, dove le esigenze autoriali provano, in parte riuscendoci, a trovare un giusto compromesso con quello più meramente commerciale e popolare. Le stesse peculiarità trasudavano, infatti, dalle precedenti pellicole per il grande schermo da lui firmate, ossia Captifs e Un homme idéal, nelle quali al suddetto compromesso non ha mai corrisposto in uguale misura un altrettanto giusto equilibrio tra gli elementi chiamati in causa: nell’opera prima del 2010 è l’horror a rubare la scena al thriller, così come nell’opera seconda del 2015 il dramma prende il sopravvento nuovamente sul giallo. In Burn Out, infatti, il copione puntualmente si ripete, con Gozlan che punta ancora una volta sulla componente spettacolare e d’intrattenimento, spingendo con più decisione sull’acceleratore dell’azione. La componente action, di fatto, rappresenta lo scheletro del progetto, la spinta propulsiva di una drammaturgia e di una narazione semplificate (nel romanzo il protagonista è anche un pugile, oltre che un biker) nelle quali si affacciano per forza d’inerzia anche crime e mistery. Queste però sono linee che il regista, sin dalla fase di riscrittura, ha nell’arco narrativo depotenzializzato per favorire altro.
A conti fatti, le sequenze cinetiche sulle due ruote, che vedono il protagonista lanciarsi ad altissima velocità sull’autostrada o tra le vie di una metropoli notturna, sono il piatto forte del menù, dove il regista francese approfitta per mettere in vetrina le sue indubbie doti stilistiche. Sono proprio queste scene, adrenaliniche e spettacolari per quanto concerne la resa e l’impatto visivo (ben al di sopra del pessimo show motociclistico offerto a suo tempo da Joseph Kahn in Torque – Circuiti di fuoco), a catturare l’attenzione dello spettatore, lo stesso che dovrà suo malgrado mettere una pietra sopra sulla possibilità di una stratificazione della drammaturgia e su un disegno più approfondito dei personaggi. Burn Out racconta la storia di Tony, testa calda e amante delle sensazioni forti, che vive soltanto per realizzare il suo sogno: diventare pilota professionista di Superbike. Finché non scopre che la madre di suo figlio è legata alla malavita e che l’unica via d’uscita è mettere il suo talento al servizio dei mafiosi. Pilota di giorno e corriere di notte, Tony affonda in una spirale infernale che lo porterà sull’orlo di una crisi…
Potenziale enorme a leggere la sinossi che, se sfruttato e sviluppato a dovere, avrebbe potuto dare origine a un film di ben altro spessore. Il risultato, invece, è una linea crime che prende quota solo nella parte finale, quella gialla ridotta al minimo indispensabile, alle quali si va ad aggiungere un discorso sulla periferia ridotta a terra di nessuno e sulle rivolte nelle banlieue in tutto e per tutto strumentalizzato. Quello che scorre sullo schermo non è altro che l’ennesimo tentativo di redenzione di un anti-eroe silenzioso e dolente (con un François Civil che nei panni di Tony prova a sommare sullo schermo i personaggi interpretati da Ryan Gosling in Drive e Come un tuono) costretto a fare l’eroe per salvare un affetto in pericolo, andando incontro a un destino nero come la pece e rosso come il sangue.
Ciò che resta è un efficace action nella confezione e spettacolare nella resa, ma deficitario nel progetto di ibridare i generi. Peccato….

Francesco Del Grosso

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