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Atlas

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VOTO: 6

Un peso più grande da portare

Tra le trentaquattro anteprime mondiali presenti nella line up della 36esima edizione del Torino Film Festival c’è stato spazio anche per Atlas, esordio sulla lunga distanza di David Nawrath dopo una serie di fortunate esperienze sulla breve (su tutte la pluridecorata What’s Left). L’opera prima del cineasta tedesco è approdata alla kermesse piemontese e lo ha fatto direttamente dalla porta principale, ossia quella del concorso.

Atlas ci porta al seguito di Walter, un sessantenne con precedenti nel sollevamento pesi che si occupa di traslochi in casi di sfratto. Roland Grone, il suo capo, lo considera il più leale e capace tra i dipendenti della sua ditta e lo coinvolge in un rischioso affare immobiliare che comporta il riciclaggio di denaro per conto di un noto clan familiare. Il piano prevede che gli inquilini di un condominio in un quartiere degradato siano sfrattati e che le loro case siano rivendute, al fine di ricavarne enormi profitti. Tuttavia uno tra gli inquilini si oppone allo sfratto rifiutandosi di lasciare il proprio appartamento. Da quel momento qualcosa cambierà e Walter sarà costretto ad affrontare non solo il suo boss corrotto ma anche il suo passato.

La storia narrata da Nawrath sembra di fatto contraddire quel detto popolare che vuole il passato bussare prima o poi alla tua porta. In Atlas, infatti, accade l’esatto contrario con il protagonista che va a bussare al suo di passato. Il destino del resto fa brutti scherzi e in un modo o nell’altro ti presenta il conto. Quello che dovrà pagare Walter sarà piuttosto salato, ma al contempo darà lui un’occasione di riscatto e una seconda possibilità, quella che la vita gli ha ingiustamente negato. Questi sono i temi al centro del film, al quale se ne va ad aggiungere un terzo del quale non possiamo parlare perché rivelerebbe al lettore e al futuro fruitore della pellicola sviluppi chiave della trama. Il pericolo di spoiler di conseguenza è nascosto dietro l’angolo e lì intendiamo lasciarlo per non togliere il gusto della visione.

Atlas è il racconto di un giro di vite a doppia e tripla mandata che travolge personaggi e volti che portano impressi i segni di un’esistenza dolorosa e di un mondo spietato. Sono loro, le scelte che prendono e che hanno preso anni prima, compresa quella di fidarsi o no di qualcuno, il pulsante di innesco di una catena di causa ed effetto. Il regista tedesco ce ne mostra il funzionamento e lo fa attraverso un dramma dalle tinte noir e mistery, quest’ultime regolate da meccanismi fragili, appena abbozzati e di facile lettura. Le cose migliori nella pellicola di Nawrath, dunque, non vanno cercate negli intrecci narrativi e drammaturgici, ma nel disegno dei personaggi e nelle tensioni che nascono da alcuni confronti fisici e soprattutto verbali tra le figure coinvolte (vedi la visita poco amichevole di Moussa in casa di Walter). I confronti e le emozioni che ne scaturiscono sono quanto di buono un film come questo, la cui confezione appare adatta più al piccolo che al grande schermo, riescono a offrire alla platea di turno.

Francesco Del Grosso

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