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Arctic Spleen

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VOTO: 7

Dove si perde la cognizione del tempo, si perde anche se stessi

Un viaggio all’interno della Groenlandia più remota e meno conosciuta grazie alla passione per la fotografia di Piergiorgio Casotti, che ha scoperto l’immagine in movimento come potente mezzo per educare e far conoscere i temi sociali che più gli stanno a cuore. Casotti ha iniziato come fotografo per caso e dopo un corso frequentato a New York ha trovato la sua vera vocazione nella fotografia, realizzando poi dei reportage in Kurdistan, Turchia, Iraq, Iran e Armenia per testate giornalistiche importanti.
Arctic Spleen è un documentario molto interessante, un’opera che mette in rilievo la società groenlandese in maniera dura e cruda, affrontando uno dei problemi meno discussi in Europa. La Groenlandia ha infatti il più alto tasso di suicidi al mondo. Un luogo freddo, estremo ma che il regista ha scoperto essere molto affascinante da subito. Non a caso, il viaggio intrapreso da Casotti aveva come fine una ricerca personale iniziata nel 2009 e che si è protratta per diversi anni. Casotti è riuscito ad adattare il suo stile istintivo e grezzo senza avere necessariamente in mente l’obiettivo di compiacere il pubblico. Dopo diversi viaggi durante i quali ha conosciuto alcune persone del posto che si lasciavano fotografare senza inibizioni, il regista si è cimentato in un multimedia project per internet che è diventato prima un cortometraggio e un libro e poi ha visto prendere la sua forma definitiva in un lungometraggio. Dopo il suicidio di un caro amico di quel paese, Casotti ha sentito l’urgenza di portare avanti il suo lavoro e costruire un reportage capace di dare importanza a tutte le storie che fino a quel momento aveva raccolto. Dopo sei viaggi in Groenlandia in quattro anni, insieme alla montatrice Nadia Fugazza, Casotti ha dato una struttura narrativa ad interviste frammentarie, guidate dalla sua voce fuori campo che è servita a definire meglio questo tema di importanza globale. Casotti parla di “libertà claustrofobica” nella sua voice over all’inizio del film, che evidenzia l’intenzionale destrutturalizzazione dei suoi personaggi e del suo viaggio personale.
Un documentario realizzato non senza difficoltà. Il regista racconta come la lingua sia stata un ostacolo, non solo perché egli non parla il groenlandese ma soprattutto per la poca comunicazione del popolo groenlandese. Così come gli spostamenti, che in inverno sono molto problematici. Proprio per questa imprevedibilità meteorologica, il popolo locale si adatta alla natura, senza programmare niente. Casotti ha quindi cercato di adattare la sua metodologia lavorativa a quella del luogo senza mai avere troppe pretese da nessuno dei suoi protagonisti e senza strutturare le riprese dettagliatamente. Le interviste, così come le diverse scene che si sono sviluppate davanti al suo obiettivo sono state quasi sempre improvvisate. Aspetto che si ritrova in un film che appare sporco nell’audio e nelle immagini ma che si adatta molto bene alle storie e ai personaggi che gradatamente veniamo a conoscere. Frammentati, difficili, silenziosi ma immensamenti umani. Casotti ha vissuto con i suoi soggetti, durante i suoi viaggi, perdendo molto spesso la cognizione del tempo, soprattutto quando d’inverno ci sono 24 ore di buio e d’estate quando ci sono 24 ore di luce. Quando la pazzia è vicina, il suicidio può essere un conforto. Tra la noia e il vuoto, la violenza ne esce vincitrice, quella contro se stessi che permette di liberare l’io complicato di un popolo fisicamente troppo lontano. Il suicidio è visto come una strategia liberatoria ed è parte della cultura groenlandese. Difficile da capire forse a parole, ma le immagini di Arctic Spleen parlano chiaramente.

Vanessa Crocini

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