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Amore e inganni

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VOTO: 7

Potere femminile

Breve ma necessaria premessa: come può essere possibile disquisire da un punto di vista più o meno critico a proposito di un’opera interamente basata su dialoghi, i quali descrivono personaggi e riassumono situazioni abbastanza intricate di rapporti tra essi, se il film stesso viene presentato in versione doppiata? Il lavoro della traduzione italiana sarà anche stato perfettamente filologico, vista anche la nobile origine letteraria del testo di Jane Austen; sta di fatto che di Amore e inganni – questo il titolo assegnato dalla distribuzione tricolore al ben più ironico originale Love & Friendship – diretto da un cineasta di primo piano del panorama indipendente statunitense come Whit Stillman, si è potuta visionare solamente una versione riveduta e corretta per il nostro mercato. Peccato, perché sarebbe stata l’occasione ideale per cominciare una volta per tutte quel processo educativo nei confronti degli spettatori riguardo la fruizione dei film in versione originale, da sempre auspicato.
Difficile quindi pronunciarsi appieno, perché la palese ironia che permea l’intera rilettura operata da Stillman – letterale: il regista ha riscritto a suo modo il romanzo giovanilistico “Lady Susan” della Austen, ovviamente adeguandolo ai tempi nei contenuti pur mantenendone l’ambientazione temporale – appare davvero di grana finissima, inserita con sapienza tra le righe di un contesto sociale, l’Inghilterra settecentesca dell’alta borghesia, dove bastava una semplice diversità di accento a creare voragini di differenze e diffidenze. Amore e inganni comunque – e lo si intuisce benissimo anche dalla versione italiana – rappresenta ancora una volta un minimalista apologo sul potere femminile, quello capace di muovere le fila dei vari discorsi sociali lasciando al maschio la mera illusione dell’ultima decisione. Uno spaccato tipicamente “austeniano” (con differente epilogo ben adeguato ai tempi che viviamo…) che si adatta come un guanto al cinema apparentemente bonario e intellettuale di Stillman, che quasi sempre ha posato il suo sguardo su microcosmi giovanili della buona società solo per metterne in luce, attraverso una satira dal sapore acidulo, le convenzioni ed i tic a malapena nascosti. In questa chiave Amore e inganni, al netto di tutte le differenze di epoca, pare perfettamente contiguo al precedente Damsels in Distress (2011), sia nel ribadire determinati concetti sulla innegabile superiorità intellettiva femminile, sia nel porre l’attenzione sulle distorsioni a cui un potere troppo grande può alla fine andare incontro. La parola si fa arma, strumento di scalata sociale; ed il chiacchiericcio su quello che oggi definiremmo gossip assume una valenza ben più importante al fine di raggiungere gli scopi prefissati.
In fondo la vedova Lady Susan Vernon (interpretata da una Kate Beckinsale in parte come di rado le è accaduto in carriera) è un personaggio di una purezza cristallina nelle proprie acrobazie finto-sentimentali: vuole il benessere per se stessa e per la figlia in età da marito Frederica, ottenendolo mediante le uniche possibilità in suo possesso, cioè quell’innata capacità seduttiva su cui possono contare determinate donne il cui fascino non solo resiste ma si rinforza col tempo che scorre. A dispetto dei “codici” vigenti nel Settecento, la questione osservata con occhi contemporanei non può prevedere punizione alcuna, dato che un certo tipo di comportamento è stato non solo del tutto assimilato nelle convenzioni, ma anzi quasi esaltato quando esso raggiunge buon fine. Quindi Whit Stillman ha semplicemente raccontato, con la stridente ironia che gli è propria, il paradosso di una condizione subalterna dalla quale evadere con sagacia rapportata ad un periodo storico come quello che stiamo vivendo, dove il senso di vuoto etico implicitamente fornisce un assenso a qualsiasi tipo di condotta che non sfoci nell’illegalità. E questo è un discorso assolutamente ambosessi, nel segno di una parità finalmente raggiunta, ma verso il basso. Dispiace allora, una volta di più, non esserne stati messi in condizione di coglierne tutte le sfumature. Perché l’ordito intessuto da Stillman – forse non brillantissimo come sarebbe stato lecito attendersi – risulta comunque assai ricco di sfaccettature da analizzare. E sulle quali riflettere un po’ sopra.

Daniele De Angelis

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