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A. Il Film

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VOTO: 7.5

Tra sperimentazione e sentimento

Presentato a Videocorto Nettuno nel 2016, quello realizzato dal campano Antonio Conte è un cortometraggio che abbiamo cullato a lungo nella memoria, per via della sua unicità. Un titolo senz’altro impegnativo, A. Il Film. Verrebbe da dire persino supponente. Eppure, nel suo accarezzare i territori della videoarte prendendo comunque una direzione tutta sua, questo piccolo lavoro cinematografico può sembrare qualsiasi cosa tranne che un manifesto artistico altero, spocchioso; vi si scorge semmai un filo di autentica inquietudine che, grazie alla sua natura genuinamente sentimentale, ce lo ha fatto prendere subito in simpatia.

Un altro aspetto che ci ha colpito positivamente, che lo differenzia da altri lavori affini alla videoarte o di analoga ispirazione, è il curioso bilanciamento tra il peso specifico delle immagini e quello della parola, del logos. Spieghiamoci meglio. Tra i lavori dei videomaker con cui ci siamo confrontati in passato molti sono quelli che si affidano a una ricerca di tipo visuale in maniera preponderante, talora addirittura esclusiva. Agendo in controtendenza, Antonio Conte sperimenta a sua volta sulla natura dell’immagine, sì, e fa fede qui una quasi subliminale citazione di Deleuze, ma al contempo alterna sequenze accompagnate da musiche ipnotiche ad altre in cui è una voce fuori campo, dai forti contenuti esistenziali, a fare da contrappunto. Tutto ciò, a nostro avviso, crea un proficuo cortocircuito emotivo.

Anche la complessa e forse contorta sintassi del film contribuisce al suo fascino. Proviamo sommariamente a descriverla. La parola si afferma da subito, su uno sfondo nero. Poi è il turno, proprio sui titoli di testa, della componente più pop, coi nomi del cast tecnico e artistico che scorrono fantasiosamente su un giradischi, su ormai antiche tastiere Olivetti, su un floppy disk, sul caro vecchio Monopoli.
A seguire, con location che spaziano da gallerie d’arte contemporanea a inconsueti spazi naturali, è un lungo teorema sull’amore, sulla solitudine, sull’incomunicabilità, ad affermarsi in un caleidoscopico vortice di immagini. Immagini che a volte sono attraversate da significativi ritocchi grafici, a volte si prestano al classico effetto morphing per mettere più volti in relazione tra loro. E il sentimento sembra pervadere tutto. Si fonde, in termini non proprio usuali, con il taglio sperimentale conferito a tale ricerca filmica; anche perché sono molto spesso i corpi di un giovane uomo e di una giovane donna a rincorrersi, a contrapporsi, a cercarsi e a restare poi (quasi inevitabilmente) separati, all’interno di inquadrature ora semplici ora decisamente barocche. Ed è la lunga, rischiosa sequenza dedicata a un volto femminile in lacrime la cesura più forte del corto, che poi tanto corto non è, trattandosi di quasi 25 minuti. C’è tanto, insomma, in A. Il Film, frutto di una produzione decisamente autarchica e libera, che ha saputo ritagliarsi un suo spazio nella nostra immaginazione sollecitata ad arte.

Stefano Coccia

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