Oltre i confini
Telemach Wiesinger è molto conosciuto nel settore e dagli addetti ai lavori per i suoi pluripremiati film analogici in 16mm, tra cui Landed, 20x e Kaleidoscope, proiettati in importanti retrospettive, performance, festival internazionali e altri spazi espositivi. Le sue opere sulla breve e lunga distanza si caratterizzano per un approccio sperimentale che scioglie sul piano visivo i confini che esplora, superandone esteticamente i rigidi regolamenti. 12 asterisci, la sua ultima e più recente fatica dietro la macchina da presa presentata nel concorso della 61esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, non è da meno, rimanendo coerente in tutto e per tutto alla poetica, all’approccio, all’estetica e al modus operandi sia tecnico e che narrativo delle pellicole precedenti.
Il regista tedesco vaga ancora una volta nel tempo e soprattutto negli spazi in compagnia della sua inseparabile macchina da presa. Se in Kaleidoscope si era mosso per terra, aria e mare per dare vita a un diario di viaggio audiovisivo in 21 capitoli, intrecciando numerosi tour attraverso Europa e Nord America, in 12 asterisci la ricerca comincia in Germania, con la sua storia di divisione Est-Ovest, per poi procedere lungo i suoi confini interni. Lo sguardo poi si estende a spirale su tutta l’Europa comunitaria e sugli avamposti dei singoli Stati membri. Si percepiscono le diverse temperature, stagioni e condizioni meteorologiche, così come le atmosfere specifiche dei confini duri e morbidi del Vecchio Continente.
Il risultato è una sorta di road movie che percorre, esplora, cattura, imprime e restituisce un mondo di movimenti e strutture, alcune delle quali abbandonate e spopolate, ma che conservano ancora le tracce e la memoria di chi le ha vissute e di cosa sono state, nonostante il logorio e le trasformazioni. Girato con l’inconfondibile stile impassibile di Wiesinger all’insegna della pura osservazione e con il rigore formale che lo contraddistingue, fatto di inquadrature in 4:3 in gran parte fisse e dal taglio geometrico, 12 asterisci riesce al contempo a lavorare su due piani che coesistono senza mai fagocitarsi. La ripresa in bianco e nero, combinata con il suono, è da una parte oggettiva, diretta e reale, dall’altra astratta, surreale e soggettiva. Queste due dimensioni si mescolano senza soluzione di continuità per dare forma e sostanza a un film che riesce ad essere fisico e metafisico, con la macchina da presa e il microfono che esplorano e interrogano la realtà e le topografie materiali e dell’anima. Sovraimpressioni del visibile e dell’udibile, a volte sincrone a volte no, oscillano fra documentario e momenti di epifania. Nella timeline prendono così posto, andando a formare una sorta di mosaico, immagini e suoni dal forte realismo e altre tanto impattanti quanto ipnotiche, che attirano l’occhio e l’attenzione dello spettatore in una fruizione che è un’esperienza immersiva e sensoriale.
Francesco Del Grosso








