Un nuovo inizio
Vi sono molte persone, nel mondo, che vivono isolate da tutto e da tutti, traumatizzate da un passato oscuro e del tutto spaventate dal doversi relazionare con gli altri. Una questione, la presente, tutt’altro che semplice, ricca di sfaccettature e con diverse connotazioni a seconda della persona che si trova a vivere una simile situazione. Eppure, tale tematica, ha spesso affascinato anche diversi cineasti, ognuno dei quali, a suo modo, ha tentato di mettere in scena determinate realtà. Uno dei lungometraggi maggiormente degni di nota in merito, ad esempio, è l’ottimo Castaway on the Moon, diretto da Lee Hae-jun nel 2009 e incentrato sulla situazione degli hikikomori, ossia di quelle persone che decidono di isolarsi totalmente sparendo quasi dalla faccia della terra e vivendo la loro intera esistenza all’interno della propria abitazione o della propria camera. Eppure, Lee Hae-jun non è l’unico a essersi dedicato a tali questioni. E un ulteriore lungometraggio in merito è stato realizzato nel 2019 dalla regista canadese Grace Glowicki, la quale, con il suo Tito, presentato all’interno della selezione del Mescalito Biopic Fest 2020, si è incentrata sulla quotidianità di un giovane fortemente traumatizzato dal passato, il quale vive isolato in casa sua ed esce di rado soltanto per fare la spesa.
Tito (impersonato dalla stessa Grace Glowicki), dunque, ha circa vent’anni e vive da solo in una villa a due piani. Il ragazzo è terrorizzato da ogni rumore “sinistro” da lui percepito e vive eternamente con un fischietto attaccato al collo, da suonare in caso di emergenza. Un giorno, il giovane scoprirà una sorta di “intruso” nella sua cucina: un suo vicino di casa, pensando fosse bisognoso d’aiuto, si è intrufolato a casa sua e gli sta preparando la colazione. In che modo questa nuova conoscenza potrà cambiargli la vita?
In Tito, la regista mette in scena il percorso del protagonista verso una nuova vita, verso una nuova “riscoperta” del mondo. Pian piano, grazie all’aiuto di qualche parola amichevole e di qualche “sigaretta speciale”, il ragazzo ricomincerà ad acquistare fiducia nella vita e nel mondo che lo circonda, riscoprendo anche la bellezza di momenti trascorsi a passeggiare in un parco. Eppure i fantasmi del suo passato sono sempre pronti a bussare alla porta. Quello che viene totalmente omesso, all’interno del presente lungometraggio, tuttavia, è sia il passato stesso del ragazzo, sia una dovuta conclusione di un percorso che, altrimenti, sembrerebbe non portare da nessuna parte.
Grace Glowicki, dal canto suo, punta tutto su effetti sonori e visivi che ricordano da lontano il cinema di David Lynch, così come di Gaspar Noè, ma l’intero lavoro viene fortemente penalizzato da una scrittura scarna, priva di risvolti davvero degni di nota, oltre che da una recitazione – da parte di entrambi gli attori protagonisti – eccessivamente sopra le righe, che finisce inevitabilmente per perdere di credibilità, sfociando, talvolta, anche nel ridicolo involontario.
Peccato. Soprattutto perché, data la delicata tematica tirata in ballo, di cose da dire ce ne sarebbero state davvero tante. Eppure, si sa, scavare nella psiche di un personaggio è da sempre un’operazione tanto delicata quanto fortemente rischiosa. E stavolta, purtroppo, a pagarne le spese è stata proprio la giovane Grace Glowicki.
Marina Pavido