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This is How a Child becomes a Poet

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VOTO: 7,5

La poetessa che si ispirava a Kim Novak

Céline Sciamma, insignita a Gorizia del Premio all’opera d’autore, ci ha tenuto a introdurre personalmente questo suo cortometraggio, This is How a Child becomes a Poet, la cui prima aveva avuto luogo all’80esima Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica, durante le Giornate degli Autori. Tale premura, considerata la natura del corto, è del tutto comprensibile. Guidata da enorme stima e affetto per la poetessa Patrizia Cavalli, venuta a mancare il 21 giugno 2022, la Sciamma si recò a distanza di qualche mese nella sua abitazione romana, che sarebbe stata da lì a breve sgomberata. Filmare gli spazi e gli oggetti che potevano metonimicamente rappresentare l’appassionata e intensa esistenza della poetessa ha finito quindi per diventare una vera e propria urgenza morale. E a tale necessità la regista francese ha risposto ideando un oggetto filmico sospeso con leggiadria tra documentario, cinema di ricerca, cinefilia e quasi sfuggenti note biografiche.

Rivisto sul grande schermo a Gorizia, in questa edizione del Premio Sergio Amidei, This is How a Child becomes a Poet ci ha fatto tornare in mente anche la lezione presente in tante opere di Otar Ioseliani, ovvero la possibilità di raccontare una o più vite attraverso le case, attraverso gli oggetti, attraverso il mutare di uno spazio nel tempo. In come sono ripresi i vari ambienti che costituivano la dimora di Patrizia Cavalli si percepisce pertanto una volontà tesa non all’accumulo, alla frenesia di esplorare ogni anfratto, bensì a quelle sottili geometrie, a quelle quasi ectoplasmatiche suggestioni che possono suggerire il carattere e la sensibilità di chi vi abitava. Poche inquadrature per stanza. Alcune tracce messe meglio in evidenza di altre. E il raffinato commento musicale di un’altra donna, Chiara Civello, a porre delicatamente un timbro su ogni immagine.

Come a voler suggerire un ulteriore trait d’union tra lei, cineasta, e Patrizia Cavalli, letterata, Céline Sciamma si sofferma giusto sull’aneddotica riguardante una fascinazione adolescenziale della poetessa nei confronti della diva Kim Novak. Il primo indizio da lei filmato è una fotografia con autografo (forse apocrifo) dell’attrice reperita in loco. Partendo da lì vengono rispolverate datate interviste in cui la Cavalli faceva risalire il proprio interesse per Kim Novak a un vecchio film che la vedeva affiancare William Hoden, Picnic (1945) di Joshua Logan. E difatti sul catalogo del festival Giacomo Vidoni titola il suo contributo relativo al corto proprio così, “Quando Kim Novak batte le mani”, poiché a tenere banco sono qui le movenze ammaliatrici e quasi ipnotiche dell’attrice, ossessivamente accompagnate da quel ritmico battere le mani, nella seduttiva scena del ballo. Tale sequenza rimase evidentemente ben impressa nella memoria di Patrizia Cavalli. E conseguentemente diventa uno spartiacque anche nel corto a lei dedicato, con il così iconico gesto di battere le mani, da parte della diva statunitense, che si trasforma in una sorta di pulsazione, di battito animale, capace di far respirare diversamente la stessa colonna sonora.

Stefano Coccia

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