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Sa Femina Accabadora – La dama della buona morte

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VOTO: 7

Dona a loro il riposo eterno

C’è la Storia ufficiale, quella che si può trovare nei manuali e nei libri di scuola, e poi c’è quel agglomerato informe, indecifrabile e sterminato di tradizioni arcaiche avvolte in un mistero difficile da scalfire. Una di queste ci porta diritti nel grembo della Sardegna, per la precisione in alcune regioni come Marghine, Planargia e Gallura, terre laddove abitualmente la Storia con la “S” maiuscola ha intrecciato e continua a intrecciare i suoi fili con i racconti popolari, alcuni dei quali sospesi da decenni tra il vero e il faceto. Si tratta della figura storicamente incerta della femina accabadora (uccidrice), una donna che si incaricava di portare la morte a persone di qualunque età, nel caso in cui queste fossero in condizioni di malattia tali da portare i familiari o la stessa vittima a richiederla. Non un’assassina (a seconda dei punti di vista), bensì una donna che praticava un’antica forma di eutanasia, un atto pietoso nei confronti del moribondo per facilitarne il trapasso con un secco colpo di martello sferrato dietro la nuca. Da molti considerata solo una figura leggendaria appartenente alla tradizione sarda sulla quale non c’è unanimità storica, tanto che alcuni antropologi ritengono non sia mai esistita, ma in realtà per tanti altri ha agito fino agli anni Sessanta, come raccontano i testimoni oculari delle gesta delle cosiddette “dame della buona morte”.
Alcuni di quei testimoni li ritroviamo nel documentario di Fabrizio Galatea dal titolo Sa Femina Accabadora – La dama della buona morte, presentato nel Concorso Italiano della quarta edizione di Visioni dal Mondo. Insieme a loro attraversiamo i paesaggi solari della Sardegna (da Nuoro a Santa Teresa di Gallura, da Fonni a Oschiri, passando per Bassacutena e Cagliari), con il regista torinese che per l’occasione riavvolge le lancette dell’orologio per raccontare a chi ne fosse all’oscuro chi erano le dame della buona morte; dove e come vivevano; quali erano le motivazioni che le spingevano a compiere l’atto estremo; qual era il rapporto con la religione; come venivano percepite dalla comunità; come si svolgeva il rito.
Apparentemente sulla carta quello di Galatea potrebbe apparire agli occhi e alle orecchie del fruitore di turno il classico documentario alla History Channel, utile a tuffarci nel passato per scoprire ciò che è stato, ciò che potrebbe essere stato o ciò che non è stato. Ma la visione dirà altro allo spettatore, qui immerso nelle zone d’ombra di una cultura millenaria ancora viva nel presente, che ci riporta in realtà agli eterni e attuali interrogativi sulla morte. Con Sa Femina Accabadora, infatti, l’autore parte dalla suddetta figura misteriosa tornando fisicamente sulle sue tracce con le soggettive di una steadycam per poi allargare il discorso a ben altro, ossia a una riflessione sulla morte prima ancora che sull’eutanasia. Tema quest’ultimo che rappresenta ancora un tabù nella Società odierna, scottante e il più delle volte motivo di feroci scontri e dibattimenti in piazza sul fatto che sia giusto o no esercitarla. Il merito di Galatea e della sua opera sta soprattutto nel non essersi addentrato facendosi fagocitare dalle sabbie mobili di una controversia senza fine, pur affrontandola in parallelo con un giusto equilibrio tra sostenitori e oppositori della “dolce morte”.
Il lavoro del cineasta piemontese è in primis una riflessione attenta e mai banale sulla morte, letta però attraverso la vita. La bravura di Galatea sta nel non avere mai dato terreno fertile alla spettacolarizzazione del doloro legata a una pratica condivisibile oppure no. Nemmeno quando il rischio che ciò potesse verificarsi negli ultimi minuti era piuttosto alto, vale a dire nel momento in cui la macchina da presa va a raccogliere la testimonianza di una figlia il cui padre ha deciso di mettere fine alla sua esistenza in una clinica svizzera. Ciò che si percepisce e che rappresenta il valore aggiunto dell’opera è il rispetto e la cura nei confronti di una materia estremamente sensibile, sotto il cui peso specifico molti cineasti delle diverse latitudini sono fini schiacciati.
Sa Femina Accabadora stimola riflessioni che trovano un riscontro nel contemporaneo dibattito sull’eutanasia, affrontandolo da una prospettiva prima leggendaria e poi storica, senza mai dare giudizi o tesi: una parabola insolita e affascinante per riflettere sul cambiamento del rapporto tra individuo, società e morte.

Francesco Del Grosso

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