L’arte di arrangiarsi
A qualcuno il nome Erik Erichsen suonerà familiare, ad altri invece risulterà sconosciuto. Nel primo caso, la conoscenza deriva dalla visione nel 2015 del documentario di Erik Gandini dal titolo La teoria svedese dell’amore, nel quale il medico era uno degli intervistati. Al contrario, per coloro che non lo conoscessero, ci pensa il regista bergamasco a raccontarne la storia nella sua ultima fatica dietro la macchina da presa, Chirurgo ribelle (Rebellkirurgen), presentata tra le anteprime della 35esima edizione del Bergamo Film Meeting in vista dell’uscita nelle sale nostrane con Lab80.
In Rebellkirurgen, Gandini racconta parte della storia umana e professionale di Erik Erichsen, un chirurgo svedese che dopo aver prestato servizio per trent’anni in un ospedale in patria, stanco della burocrazia ha deciso di trasferirsi in un posto dove può fare più tranquillamente ciò che davvero ama, operare. In Etiopia, dove ci sono solo tre medici ogni centomila abitanti, il dottor Erichsen e sua moglie Sennait lavorano in un piccolo ospedale da campo ad Aira. Le risorse sono estremamente limitate, tanto che è costretto ad eseguire gli interventi chirurgici utilizzando ciò che ha a portata di mano, come un trapano elettrico a basso costo acquistato al supermercato locale, fascette, raggi di biciclette al posto del filo da sutura; ma il dottor Erichsen riesce sempre a cavarsela.
Quello firmato dal regista di Videocracy può essere considerato, dunque, una sorta di spin off dell’opera del 2015, nella quale Gandini racconta in maniera più approfondita la figura del chirurgo scandinavo. Approfondita si, ma parziale, poiché in Rebellkirurgen non viene riavvolto completamente il nastro, con l’autore che affronta solo l’ultimo periodo di attività in Etiopia del medico, quello che precede il pensionamento. Dunque, non sarebbe corretto considerare l’opera in questione come un biopic a 360°, piuttosto come un capitolo. Del resto, quella proposta nel lavoro precedente era solo una bozza di ciò che aveva tutto il potenziale per diventare una parentesi interamente dedicata a un personaggio che può essere considerato controverso, tanto da spaccare in due l’opinione pubblica e le platee di turno: da una parte chi lo annovera tra i cosiddetti eroi del quotidiano, dall’altra chi ne critica aspramente le pratiche e il pensiero. Noi facciamo parte della prima categoria, anche se non condanniamo coloro che hanno una posizione diversa a riguardo, ossia quella fetta di pubblico che non condivide il modo di Erichsen di esercitare e di criticare aspramente il sistema sanitario svedese. Insomma, Rebellkirurgen è un film che può e deve dividere da un punto di vista strettamente contenutistico, ma non di certo per il modo in cui l’autore ha scelto di narrare e mostrare.
Da parte sua, Gandini non si preoccupa di mettere tutti d’accordo, non assume una posizione a favore o contraria, ma si limita ad osservare e a catturare ciò che si materializza davanti alla sua macchina da presa. Semmai accompagna con la voce alcuni passaggi del film, come è solito fare Herzog nei suoi lavori documentaristici, ma oltre questo non va. La posizione di neutralità e oggettività permette al regista bergamasco, a differenza del passato e di altri tasselli della sua filmografia (Videocracy su tutti), di raccontare la figura del chirurgo con il giusto distacco ed è proprio questo approccio, a nostro giudizio, l’aspetto di maggiore rilievo da mettere in evidenza. Le stilettate arrivano (vedi la critica alla troppa burocrazia in Occidente) e colpiscono il bersaglio, ma a scagliarle è il protagonista, non il regista che ha deciso di raccoglierle.
Per il resto, consigliamo la visione a coloro che sono dotati di uno stomaco abbastanza forte da riuscire a sopportare anche le immagini più crude, perché Gandini non lascia fuori campo nulla, specialmente quando la macchina da presa entra in sala operatoria.
Francesco Del Grosso