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Put Your Soul on Your Hand and Walk

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VOTO: 8

Cronaca di una tragedia annunciata

Anche senza avere alcuna informazione pregressa sulla sinossi del film, il che corrisponde in pieno all’approccio scelto da noialtri prima della proiezione, lo spettatore più sensibile ed empatico è destinato ad affrontare la visione di Put Your Soul on Your Hand and Walk (bellissimo e iconico titolo, ispirato dalla protagonista stessa) come un lungo calvario, giacché sin dalle prime inquadrature si afferma la sensazione che la giovane, raggiante donna palestinese ritratta sullo schermo possa aver fatto una brutta fine, come tanti altri connazionali travolti in questi mesi dalla furia dell’esercito israeliano. Il termine “spoilerare” in casi del genere può sortire un effetto grottesco, tragicomico, invitiamo comunque chi intenda recuperare tale opera cinematografica in sala o attraverso altri canali, mirando a farsi “sorprendere” a tutti i costi dall’ennesimo risvolto macabro del genocidio sionista a Gaza, ad abbandonare immediatamente la lettura dell’articolo. Giacché quel triste presagio acquisirà concretezza poco prima che il documentario finisca: ebbene, vi è anche la splendente Fatma Hassouna detta Fatem, coraggiosa fotoreporter a lungo attiva nella striscia di Gaza, tra le vittime del prolungato massacro. Ha perso infatti la vita assieme a gran parte della propria famiglia, sotto le bombe, il 16 aprile 2025.

Se questa 20esima Edizione della Festa del Cinema di Roma non immune ad apprezzabili scrupoli di coscienza ha saputo curare degnamente lo stesso sfondo storico del dramma mediorientale, grazie all’accurato Palestine 36, con Put Your Soul on Your Hand and Walk è di scena invece l’attualità, riferita qui alla crudele rappresaglia israeliana post 7 ottobre 2023. Per gran parte dello straziante documentario è il volto fiero e spesso incredibilmente sorridente di Fatem a riempire lo schermo. La regista iraniana dissidente da tempo in esilio (e pure qui le tragiche contraddizioni delle geopolitiche attuali possono creare cortocircuiti stridenti sui quali riflettere) Sepideh Farsi era riuscita ad entrare in contatto con lei, tramite precarie videochiamate, durante il proprio soggiorno al Cairo, soggiorno determinato proprio dalla volontà della cineasta di raccogliere testimonianze dirette su quanto di terribile stava accadendo a Gaza. La povera Fatma si è dimostrata suo malgrado la testimone ideale. Sia per i suoi vibranti racconti in videochiamata, sia per le spaventose foto e riprese col telefonino che ha potuto mostrare alla regista, dopo essersi aggirata per mesi interi con evidentemente sprezzo del pericolo tra le macerie della zona settentrionale di Gaza, la più devastata dai colpi dei bombardieri e dei carri armati. Sono scene apocalittiche. Ma la testimonianza più forte resta probabilmente il carattere esibito senza filtri dalla ragazza, conscia della possibilità di andare incontro a una fine terribile, restando prigioniera della trappola per topi in cui il nemico ha trasformato la sua città, ma desiderosa di affrontare quell’incubo con un vitalismo e con un amore per la propria gente che, nei frangenti più disperati, possono lasciare di sasso anche lo spettatore meno emotivamente partecipe. Un ringraziamento va naturalmente al senso civico (e alla profonda visione etica dell’audiovisivo) della regista iraniana, che ha mediato con grande dignità tra i tragici eventi e noi, senza mai nascondere il proprio punto di vista sia che si trattasse di scavare – sempre con tatto – nel dolore altrui, sia che la distanza fisica tra lei e l’intervistata necessitasse dell’estemporaneo, salutare alleggerimento rappresentato, ad esempio, dall’apparizione in scena di un gatto. In tal modo gli spettatori della Festa del Cinema (e delle successive proiezioni) non potranno rimuovere facilmente dai propri ricordi la triste ma generosa e orgogliosa esistenza di Fatma Hassouna, così come chiunque abbia un briciolo di umanità non potrà più dimenticare il martirio della bimba, la cui voce è lo straziante leitmotiv di quel The voice of Hind Rajab premiato a Venezia. Entrambe vittime della folle sete di vendetta del “moloch” sionista.

Stefano Coccia

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