Come si affronta il dolore?
Già, come si affronta il dolore? In psicologia si è arrivati a formulare la teoria dell’elaborazione del lutto, la quale affronta vari stadi prima di giungere alla definitiva accettazione. Non si tratta mai, tuttavia, di un processo automatico. Spesso anzi molte persone che si trovano ad affrontare un lutto finiscono prese in un vortice di dolore dal quale è impossibile uscire senza aiuto. Ci riflette la giovane cineasta italiana O.B. De Alessi in questo suo Mudmonster, in concorso nella sezione cortometraggi al 21° Trieste Science + Fiction Festival.
La stessa De Alessi, presentando il film, ha dichiarato come alla base dell’opera ci fosse il suo interesse ad esplorare lo spazio tra realtà e finzione nel quale i bambini spesso si trovano a vivere, soprattutto quando affrontano qualcosa che non capiscono, o, come in questo caso, nel tentativo di dare senso ad un trauma. Il film si contraddistingue per un ritmo lento, il quale contribuisce a creare quell’atmosfera tesa e quasi ossessiva nella quale lo spettatore viene trascinato insieme ai personaggi. Le scene sono dei momenti in cui questo vortice di dolore viene fotografato e documentato. Quello al quale assistiamo è un dramma psicologico raccontato con toni fantastici. La storia di un lutto non elaborato che finisce per costituire una prigione ed una condanna. Le tre protagoniste, la madre e le due figlie, appaiono infatti prigioniere del dolore provocato dalla perdita del padre, che affrontano ognuna a modo loro ma in solitudine. Il dolore fa questo in effetti, ti rende egoista, pensi che nessuno ti possa capire, che non condivida i tuoi sentimenti. Ti senti solo e non capito. Per effetto di questo finisci davvero per isolarti, per diventare intransigente e chiuso agli altri, allontanandoti e rinchiudendoti in una prigione da te stesso costruita. È quello che succede alle tre protagoniste. A causa di ciò l’inconoscibile e il mistero irrompono nella loro vita ed è soprattutto la piccola Fiamma a patirne il prezzo maggiore. La regia ce la mostra spesso da sola, isolata, nella sua stanza o nel prato circostante la grande casa dove la famiglia abita. Un luogo che dovrebbe essere un caldo rifugio e che diventa invece un freddo ostello di dolore e solitudine. Nessuno parla e nessuno capisce in quella casa, tutti però soffrono.
Ed ecco dunque la luce fredda ed aliena, i luoghi spesso bui o male illuminati. Ed ecco anche il mostro. Una creatura partorita nell’oscurità e nel dolore, unico essere con la quale la piccola Fiamma sembra poter avere uno scambio, un contatto. Ma, come dice una frase oramai proverbiale: “Non puoi guardare dentro l’abisso, senza che l’abisso guardi dentro di te”; e così l’oscurità finisce per ghermire Fiamma, sola ed incapace di reagire. La bambina entra in un suo vortice di dolore ancora più solitario e la regia, nelle varie scene nelle quali fotografa questo percorso, ci enumera tutti i momenti nei quali si sarebbe potuto interrompere, ma il dolore che isola e rinchiude non lo permette, e così il mostro vince.
Luca Bovio