Come ammazzare il tempo… e non solo quello
Sono giorni tetri. Giorni in cui, non bastasse lo stato di prostrazione cui il paese è stato condotto a colpi di DPCM, si sente nuovamente parlare di zone rosse da ampliare, di chiusure, divieti, controlli e sanzioni.
Fosse anche per esorcizzare le nubi che si affollano all’orizzonte, ci è tornato in mente un cortometraggio visto tempo fa, uno di quei lavori realizzati durante l’ancor più duro e alienante “lockdown” della primavera scorsa. Di lavori così se ne sono visti tanti, ma Lock Town di Antonio Benedetto non è “uno dei tanti”: il cineasta attivo a Bologna, che aveva saputo sorprenderci prima con Sexy Shopping (2014) e poi con Dio esiste (2019), ha trovato ancora una volta una chiave personale, spiazzante, per mettere in scena l’allucinante realtà con cui ci siamo dovuti bene o male confrontare.
Il corto, che le note ci dicono “girato a distanza nei mesi di aprile e maggio 2020 durante il lock down dichiarato in Italia per contrastare l’emergenza sanitaria dovuta al diffondersi del Coronavirus COVID-19”, vede peraltro una sorta di co-autore in Fabio Campo: il sodale di Antonio Benedetto, accreditato anche per riprese e montaggio, interpreta Achille, impenitente serial killer evaso durante le rivolte carcerarie di inizio marzo e rifugiatosi presso la dimora di un’amica ed ex amante, impersonata a sua volta da Claudine Tissier.
“Mi chiamo Achille e sono un assassino”, comincia così il grottesco diario del protagonista. Ma prima avevamo avuto modo di familiarizzare con il “contesto”, attraverso l’asciutta e rapida sintesi proposta attraverso il montaggio: la voce agghiacciante di Giuseppe Conte, le carrellate lente e inesorabili della città deserta, cui si aggiungeranno più avanti le immagini stranianti di uno dei tanti video “motivazionali” pescati in rete, nella fattispecie una vivace coreografia neozelandese del brano I Will Survive (scelta a dir poco apotropaica) di Gloria Gaynor. Quindi, “andrà tutto bene“? Sappiamo già che non è andata bene, che non sta andando bene affatto.
Per arrivare al punto, però, Antonio Benedetto sfugge a qualsiasi retorica, affidandosi all’agire metodico e spietato del protagonista Achille. In un’umanità trovatasi all’improvviso reclusa, lui che recluso lo è stato a lungo sembra adattarsi meglio di altri. Di sicuro più delle sue vittime. E in un mondo disumanizzato dalla pandemia e dai diktat governativi, la sua stessa assenza di umanità finisce per risultare paradossalmente coerente. In Lock Town (di rara efficacia anche il titolo) quei sette minuti circa sono perciò sufficienti a raccontare la conturbante surrealtà del momento, parafrasata attraverso schemi di genere asciugati all’osso, il cui black humour di fondo ti scava dentro, giunge persino a soffocarti. Letteralmente.
Stefano Coccia