La superstizione è dura a morire
Una delle frasi più note ed usate al di fuori di qualunque contesto della teoria marxista è: “la religione è l’oppio dei popoli”. Il fondamento della critica alla religione é: è l’uomo che fa la religione, e non è la religione che fa l’uomo. Essa rappresenta una coscienza di sé e vi ritrova una realtà fallace, poiché l’uomo non è solo il suo spirito, ma è il suo mondo, lo Stato, la legge. La religione diventa dunque una droga che ottunde l’uomo e lo rinchiude in una illusoria felicità. Abbatterla significa rinunciare ad una felicità illusoria per una felicità reale. Pressapoco è questo il pensiero di Marx. Il giovane regista marocchino Alaa Eddine Alje, con questa sua opera d’esordio dal titolo Le miracle du Saint Inconnu presentata in concorso lungometraggi al 30° Festival Cinema Africano Asia e America Latina pare partire dal pensiero di Marx aggiungendo una postilla; è una battaglia assai difficile quella contro l’oppio dei popoli. Con una commedia dai toni burleschi che presenta una comicità da copione abbastanza raffinata e che pare più intenzionata a fare riflettere che ridere, come l’antico conterraneo Terenzio, il giovane regista ci parla del Marocco contenporaneo, tra superstizione e cambiamenti climatici. Lo stile complessivo è piuttosto stilizzato ed il ritmo della narrazione è quasi ieratico. Ciò rende forse il film non completamente godibile, ma si può anche osservare che tale scelta può essere in linea con l’idea di suggerire il lento scorrere del tempo nell’ambiente rurale, un tempo del deserto, più dilatato rispetto al tempo della città. Tale intento si può forse anche ravvisare nella scelta di ripetere alcune inquadrature che servono ad introdurre i personaggi esterni al villaggio, come il ladro protagonista e il nuovo medico condotto; come a voler rimarcare un ripetersi sempre uguale delle umane vicende. Il che servirebbe anche a ribadire quello che sembra essere il vero nucleo della pellicola: lo scontro tra un Marocco urbano, moderno, razionale ed un Marocco rurale e tradizionalista. Comunque la si possa vedere c’è un forte spirito critico alla base del film, che rieccheggia le parole di Marx. Il mausoleo del santo, più che un reale luogo di devozione, pare essere il centro di un nuovo commercio. Siamo di fronte, insomma, ad un esempio di turismo religioso e sfruttamento dello spirito. E dunque nemmeno vero spirito religioso, ma meschina superstizione. In questo, il ladro, ma anche il dottore, si fanno istanza di una modernità che scuote l’inerte sistema tradizionale, senza tuttavia riuscire a scalzarlo, anzi finendone in qualche modo assorbiti, come riecheggiando il motto: “perché nulla cambi, tutto deve cambiare”; peccano di superiorità questi sgangherati alfieri della modernità, ritenendosi superiori finiscono per cedere alla sottile forza silente di un mondo antico quanto le sabbie del deserto.
Film su di una rivoluzione mancata che si scontra con il perdurare di antichi oscurantismi.
Luca Bovio