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Africa bianca

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VOTO: 8

Come sognavamo

Sembra strano fermarcisi a riflettere, ma gli oggetti possono essere straordinari contenitori di storie. Storie legate a chi li ha posseduti, maneggiati, costruiti, progettati. Un vecchio armadio, od un ripostiglio, scatole, pacchi, in essi stipati, ricordi di un tempo passato al quale forse nemmeno più si pensa; cartoline, lettere, documenti, abiti, oggetti di uso quotidiano, e quaderni e libri, degli anni di scuola magari, gli anni d’infanzia, quando tutto è nuovo ed il mondo appare sempre soffuso della magia di ciò che non si conosce ed appare straordinario. Persino la guerra. Da ciò paiono essere partiti i giovani autori Filippo Foscarini e Marta Volante per creare il loro cortometraggio Africa bianca, in concorso nella sezione EXTR’A del 30° Festival del Cinema Africano Asia e America Latina.
Tutto ebbe inzio con il ritrovamento di un quaderno del tempo delle Scuole Elementari appartenuto al nonno del Foscarini e trattante le fantasie dell’allora piccolo balilla circa l’invasione d’Etiopia del 1936. L’opera si situa fin da subito a metà tra animazione e documentario, poiché ai disegni animati del quaderno vengono accostati documenti video e audio frutto di quella che ci pare essere davvero una accurata e capillare ricerca nei vari archivi storici pubblici e privati. E tuttavia, fin da subito, non è la dimensione storica quella che appare dominante, quanto quella del diario intimo. Non c’è accademismo né indagine sociologica. Il quaderno non viene trattato come punto di partenza per un’analisi storica e sociale di qual’era l’Italia al tempo della conquista d’Etiopia. I due giovani autori non producono una disamina critica dell’Italia e degli Italiani dell’epoca. Ciò che si predilige è la dimensione, appunto, intima. Ciò che viene scandagliato è l’immaginario privato di un bimbo del 1936, non ancora in grado di comprendere compiutamente ciò che vede e sente e che pertanto si affida alla guida degli adulti per poter capire e sapere. Tale scelta di stile e di contenuti ammanta l’opera di un alone fantasmatico. Si ha la sensazione di qualcosa, o qualcuno, che a poco a poco riemerga da un mare di nebbia. I contorni non sono bene delineati, le forme appaiono indefinite anche quando la distanza è oramai accorciata e si dovrebbe riuscire a distinguere ciò che si ha davanti con chiarezza. Ombre e nebbia sono l’ambiente nel quale ci muoviamo; dal quale esce questo fantasma, che non è aggressivo, né maleintenzionato. E tuttavia ci appare distante, evocando come fa qualcosa che non c’è più. Di nostalgia non possiamo parlare, questo no, ma possiamo parlare di empatia. Non razionalmente, ma istintivamente capiamo quel bambino. Lo capiamo perché non è diverso da qualunque altro bambino che abbiamo conosciuto. Non è diverso dai bambini che eravamo. Ciò che Foscarini e Volante ci mostrano, in sostanza, è il mondo intimo di un bambino come tanti, testimone di qualcosa che non poteva capire, ed è questo che ce lo fa sentire così vicino.

Luca Bovio

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