Bacha Posh
Negli ultimi anni sempre più attori e attrici del panorama nostrano hanno sentito l’esigenza di passare dietro la macchina da presa per misurarsi con la regia. Il numero di esordi in tal senso è piuttosto significativo e se alla lista andiamo ad aggiungere anche coloro che alla lunga distanza hanno preferito quella breve, allora il numero cresce ulteriormente. Alcuni e alcune di loro hanno infatti deciso di confrontarsi con un formato ridotto prima del battesimo di fuoco del lungometraggio, dirigendo uno o più corti che sono serviti da palestra e per testare le proprie capacità. È il caso di Serena Tondo, che gli addetti ai lavori e il pubblico ricorderanno per le sue performance in film e short come La sabbia negli occhi, Anche senza di te e Dorothy non deve morire. L’attrice pugliese nel 2023 ha esordito con un cortometraggio dal titolo Amina, che a distanza di tempo dalla prima proiezione pubblica sta continuando il suo percorso nel circuito festivaliero. Ed è in una di queste tappe che l’abbiamo intercettato, ossia in quella di Porto Santo Stefano, laddove l’opera in questione è stata proiettata in concorso alla settima edizione del Pop Corn Festival del Corto.
Scritto a quattro mani con Antonella Gaeta, Amina assolve a quello che dovrebbe essere uno dei compiti della Settima Arte, vale a dire il raccontare storie capaci di emozionare, fare riflettere e al contempo accendere i riflettori su aspetti e problematiche della vita reale. L’attrice e regista di Nardò ha portato sullo schermo una questione che a molti può suonare sconosciuta, accendendo e puntando su di essa un riflettore. Da questo punto di vista, l’opera in sé è meritevole di attenzione proprio in virtù della tematica affrontata, al di là dei giudizi che si possono esprimere a conti fatti sul risultato finale. Il corto ci porta al seguito di Ahmed, quindicenne afghano, alle prese con il disperato tentativo di raggiungere l’Italia dalla Macedonia nascosto all’interno della cella frigorifera di un Tir. Un viaggio, il suo, nel quale avremo la possibilità di scoprire insieme a lui le tappe salienti della sua vita. Ma non tutto è come sembra… lo stato di semi-incoscienza in cui entrerà a causa dell’assideramento ci rivelerà che Ahmed in realtà si chiama Amina ed è una delle tante Bacha Posh afghane, letteralmente “bambine vestite da maschio”.
A prima vista sembra l’ennesima storia d’immigrazione clandestina che si affaccia sullo schermo per tenere sempre alta l’attenzione sull’argomento, ma strada facendo il plot allarga i suoi orizzonti narrativi, drammaturgici e tematici a una realtà cruda e dura sulla quale era giusto e importante aprire una finestra. L’odissea della giovane protagonista diventa l’occasione per parlare del suddetto tema attraverso quelle che sono le “armi” in dotazione al dramma umano che da una dimensione privata e domestica si estende a quella pubblica, raccontando una vicenda che non riguarda solamente un singolo ma quelle tante bambine e adolescenti che in Afghanistan vivono la stessa sorte della protagonista di Amina. Il valore intrinseco del lavoro della Tondo sta proprio nell’avere restituito entrambe le dimensioni, facendole convergere in una sceneggiatura che bilancia entrambi gli aspetti mescolandoli senza soluzione di continuità con altre tematiche dal peso specifico rilevante che riportano tanto al dramma dell’immigrazione quanto al romanzo di formazione. Il tutto trova spazio in un’opera che non fa sconti e non addolcisce la pillola, ma che scava in profondità nella sofferenza e nelle conseguenze senza scivolare nelle sabbie mobili degli stereotipi, del didascalismo e soprattutto del dolore a buon mercato. L’autrice dice e mostra tutto ciò che c’è da dire e da mostrare attraverso una storia che pone lo spettatore al cospetto di una serie di emozioni cangianti. L’efficace interpretazione della giovane Elham Sadat Husseini permette a queste emozioni di giungere a destinazione, ossia al cuore e alla mente del fruitore che ne segue il flusso e con esso il cammino ad ostacoli che suo malgrado è costretto ad affrontare il personaggio.
Francesco Del Grosso







