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Alain Danièlou – Il labirinto di una vita

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VOTO: 8

Un viaggio iniziatico nella cultura indiana, quale “filo di Arianna”

Le primissime immagini di Alain Danièlou – Il labirinto di una vita hanno realmente qualcosa di magico. Lo spettatore viene rapito e trasportato di peso sul Gange, di notte, con le luci e le atmosfere misticheggianti di Benares, città sacra dell’induismo, a fare da sfondo. Questa “cartolina” animata è l’elegante biglietto da visita di un film denso, profondo, che prendendo spunto dall’intensa parabola umana e artistica di Alain Danièlou diventa strada facendo lo specchio del suo altrettanto ragguardevole viaggio iniziatico nella cultura indiana, vissuta visceralmente nelle sue diverse componenti, religiosa, filosofica, musicale, letteraria ed artistica in senso lato.

Presentato in anteprima nazionale il 15 giugno al Biografilm Festival edizione 2017 il documentario del regista veneziano Riccardo Biadene ha senz’altro i canoni dell’eccezionalità. Perché eccezionale è la vita che racconta, innanzitutto, ma anche perché la confezione dell’opera va oltre gli standard abituali di un simile prodotto, abbinando l’ottima ricerca dei materiali di repertorio al delicato lirismo delle immagini girate per l’occasione.
Si parte, come ad aprire un fertile cortocircuito tra culture e mondi diversi, dal breve ritratto dell’adolescenza di Alain Danièlou in terra bretone, con la sua già estrosa figura schiacciata dal peso di una società chiusa, conservatrice, oppressa peraltro da un cattolicesimo estremamente bigotto anche a livello di ménage familiare. Ma il giovane artista e studioso ci metterà poco ad affrancarsi da tutto ciò. Prima il trasferimento a Parigi, dove lo raggiungeranno gli anatemi dell’austera madre, pronta a rompere ogni rapporto con lui dopo aver appreso della sua condotta di vita di sicuro non convenzionale e del suo dichiarato interesse per la danza, la musica, la fotografia. Poi la svolta, grazie al viaggio intrapreso nel 1932 col suo compagno, il fotografo Raymond Burnier, alla volta dell’India.

In Alain Danièlou – Il labirinto di una vita la pluridecennale e fondamentale presenza del francese nel subcontinente indiano è, in primo luogo, l’occasione per scandagliare l’incredibile apporto fornito dal raffinato musicologo per quanto concerne lo studio e la divulgazione in Occidente di quell’importante, meraviglioso patrimonio culturale. Ma al tempo stesso a prendere forma è un non meno affascinante percorso esistenziale: i riti di iniziazione legati alla pratica induista, gli incontri così formativi con una personalità di primo piano come Tagore, le sottili critiche all’operato politico di Gandhi poste con un occhio alla Tradizione e l’altro alle sofferte modalità con cui la “Partition” ebbe luogo. Se si somma poi la successiva ed interessantissima parentesi italiana, con la presenza di Alain Danièlou in quel di Venezia come pure nel tranquillo eremo rappresentato da Zagarolo (dove creò anche la Fondazione Harsharan), da valutare qui assieme alla testimonianza offerta da un grosso calibro come Roman Vlad nella sua accurata intervista e con il contrappunto costante delle riflessioni prese da un’autobiografia dello stesso intellettuale transalpino, la ricchezza del lavoro cinematografico realizzato da Riccardo Biadene è sotto gli occhi di tutti.

Stefano Coccia

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