Pastori resilienti
Dopo l’anteprima in casa a IsReal di Nuoro per Abele, l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Fabian Volti, è tempo di approdare sul Continente, per l’esattezza a Torino, laddove ha preso parte alla sezione “Made in Italy” della 28esima edizione del Festival CinemAmbiente. Ed è qui che abbiamo avuto modo di vedere e apprezzare il nuovo documentario del regista sassarese, che è tornato alla kermesse piemontese a quattro anni di distanza dalla presentazione di Umbras, un cortometraggio nel quale un figlio e un padre pastore ripetono atavici gesti quotidiani in una dimensione senza tempo che non ha ancora subito l’avvento della modernità. In Abele, Volti, con la complicità in fase di scrittura di Stefania Muresu, firma e filma un viaggio che dal Mediterraneo al Medio Oriente porta lo spettatore al seguito di pastori solitari dell’entroterra sardo e di comunità itineranti di beduini che vivono seguendo il corso degli astri e delle stagioni, silenziosi testimoni di quotidianità in conflitto.
C’è dunque una continuità tra questi due lavori, con quest’ultimo che rappresenta tanto un upgrade quanto un controcampo rispetto al precedente sia sul piano tematico che su quello tecnico e formale. Upgrade in termini di metraggio e di modus operandi con un racconto che si ramifica su un’architettura narrativa cronometrica più lunga nel quale come vedremo comunicano e si mescolano formati, materiali e supporti differenti, ma anche sul piano dello sviluppo delle argomentazioni trattate.Girato in digitale e in 16 mm, con una voce fuori campo in arabo e in sardo (quest’ultima, del poeta Alberto Masala) che, a tratti si sostituisce ai dialoghi, Abele racconta quattro storie emblematiche del mondo agropastorale, alternando riprese del reale e rari filmati d’epoca, provenienti dal fondo Fiorenzo Serra e dagli archivi visivi e sonori delle agenzie AP e British Pathé. Un mix di materialità audiovisive digitali e analogiche che rispecchiano uno degli aspetti chiave del film, ossia la contrapposizione tra mondo antico e presente, modernità e passato. Prende così forma e sostanza narrativa e filmica un’opera che narra dell’universale tentativo di resistenza e resilienza nel tempo dell’uomo pastore ai cambiamenti. Assistiamo all’insistito ed equilibrato palleggio spaziale ed esistenziale tra la Sardegna e la Palestina, due luoghi geograficamente distanti ma ugualmente centrali nella storia del pastoralismo errante. Il risultato è un viaggio cinematografico nelle geografie e nei rispettivi paesaggi sulle tracce di un immaginario Abele, incarnazione del pastore e dell’archetipo del conflitto, in una società assediata da guerre e cambiamenti epocali. L’entità evocata che si fa soggettiva della macchina da presa incontra le vite di uomini pastori resilienti che sopravvivono ai confsini di un poligono militare, in una chiesa sconsacrata alle porte di una città, tra gli ovili del Supramonte e nel deserto palestinese controllato dall’esercito israeliano. In tal senso, il titolo scelto è perfettamente calzante ed è già di per sé una chiara lettera d’intenti che riassumere, raccoglie e restituisce il senso dell’operazione, ciò che vuole portare sullo schermo e anche l’immaginario e la metafora di quello che rievoca.
Ecco allora che il cineasta sassarese dipinge con rigore ed estrema attenzione un ritratto corale che si fa flusso di storie e frammenti di vite, incorniciato all’interno di suggestivi landescape che azzerano le distanze fisiche per avvicinare geografie lontane. Ciò avviene tramite l’unione senza soluzione di continuità di modalità di pura osservazione e di più poetica creazione, che Volti riesce a combinare in maniera armoniosa mediante un sistema di vasi comunicanti tecnici e drammaturgici che fanno in modo che gli uni alimentino gli altri senza che si sovrastino o fagocitino reciprocamente. Sta qui il punto di forza di un’opera che sa cosa dire e come dirlo con un’idea ben precisa dal primo all’ultimo fotogramma a disposizione. Merito anche del montaggio e della scrittura, che hanno contribuito a rendere tutto ciò possibile, indicando la direzione da prendere per non smarrirsi mai.
Francesco Del Grosso









