All’inferno tutti amano i popcorn
In questi anni la sua immagine e l’etichetta incollata al suo cinema possono aver ingannato molti, ma al contrario tutto si può dire di Rob Zombie fuorché una cosa: che non sia un autore che creda fermamente nella sua arte, al punto di non voler lasciare spazio ai compromessi. Al punto di non perdere occasione per sputare sull’industria di casa propria, così cronicamente interessata al prodotto confezionabile da soffocare la possibile nascita e sviluppo di molto cinema, soprattutto di genere. Così, influenzato anche dall’accoglienza USA molto fredda, sia di critica che di pubblico, de Le Streghe di Salem, il suo lavoro più personale e sperimentale, Zombie ha attuato un’operazione di reset, cercando un nuovo inizio. Sul lato produttivo in primis, dato che per la prima volta uno dei registi cardine dell’horror dell’ultimo ventennio si è affidato, in puro spirito d’indipendenza (se non lo è l’horror, quale genere può esserlo?), al crowdfunding. Una pratica in fondo ancora inesplorata nel cinema, o quantomeno solo in minima parte esplorata tuttora rimane l’influenza del modo di fare cinema attraverso crowdfunding, come quest’ultimo stia cambiando non solo la produzione ma anche la realizzazione dei film. Una pratica che Zombie ha accettato come unica possibile per lui allo stato attuale, con i produttori per nulla intenzionati a rischiare dopo Salem, film che ancora una volta ha ricordato quanto profondamente diverso sia l’occhio europeo da quello statunitense. Una pratica che in fondo ha anche influenzato il regista, che ha deciso di fare un film per il pubblico, estremamente semplice e diretto, lasciando la criptica simbologia per tempi migliori. Un ritorno alle origini che ha anche un sapore autobiografico, dato che Zombie ha ammesso di essersi calato nei ricordi personali dell’attività circense dei propri genitori per delineare scenografie e personaggi.
Ma per ritorno alle origini non si deve intendere che Zombie sia tornato a La casa dei 1000 corpi, come suggerito da qualcuno, bensì in una semplificazione della grammatica cinematografica e d’intenti. Per sua stessa ammissione, 31 è nato pensando all’idea più basilare possibile, priva di qualsivoglia sovrastruttura: alcuni malcapitati intrappolati e inseguiti da perversi assassini in un malato gioco a tempo.
Immerso, destino onnipresente di una pellicola del professore rock Zombie, in una colonna sonora di chitarre e polvere (particolarmente gradito l’inserimento di Walk Away dei James Gang, la band che diede i primi successi a Joe Walsh), la regia di 31 si distacca dal solito modus operandi: forse per costrizioni di budget, le riprese a mano dominano, dando molto più dinamismo (e caos) alle tipiche, statuarie riprese zombiane. Il “ritorno alle origini aggiornato” funziona però poco.
Se nella maestria scenica, sempre più barocca, e di una scrittura ruvida ma tremendamente efficace, fucina di battute memorabili (una su tutte quella che fa da titolo all’articolo: tutto Zombie in una frase), c’è la conferma di un regista che non ne ha bisogno, 31 fallisce nel rendere tridimensionale pressoché tutto: la tensione, la trama, soprattutto i personaggi. Con in mano un personaggio potenzialmente indimenticabile come Doom-Head (semplicemente straordinaria la performance di Richard Brake), Zombie se lo lascia sfilare tra le dita, lasciandolo sospeso in un limbo del suo stesso specchio di trasformazione, metodo Stanislavskij della coscienza: nel diventare Conrad Veidt/L’Uomo che ride ripete ossessivamente a se stesso di essere lucido, non pazzo, e la colpa del film è quella di non fornire domande.
Lo stesso feticismo classicista di Zombie ha da dire poco se non sviluppato a dovere: l’idea di riprendere La Pericolosa Partita per contaminarlo con il survival, il torture porn e la fotografia onirica della golden age italiana era interessante, molto meno il risultato.
C’è il gioco, quello che c’è sempre stato nel suo cinema, ma stavolta è tutto così basico da lasciare gli attori pure linee: Malcolm McDowell macchietta istrionica, Sheri Moon eroina senza sangue, Pancho Moler nano nazi che meritava ben altro spazio e invece viene rimosso per primo, quasi con fastidio, villain psicopatici che si susseguono senza incutere alcun timore, più vittime sacrificali degli stessi concorrenti. Dulcis – si fa per dire – in fundo, ricordare Nosferatu durante una scopata è da scolaretto senza idee. Cosa che Zombie non è mai stato. Così, di tutto il gioco, passatista e non, di piacere autentico rimane solo il rivedere Judy Geeson, scream queen 70s resuscitata da Zombie già ne Le Streghe di Salem.
E quindi il regista che diede una forte scossa al cinema di genere statunitense nei primi anni Duemila si è trovato a cadere colpevole della stessa accusa che lui imputa all’horror “di regime” USA: quello di essere prevedibile.
Ma in fondo come possiamo puntare il dito verso uno spettacolo che dà ciò che promette? Per dirla a la Rolling Stones, it’s only blood & pop corn, but I like it. E se il menu non è di vostro gradimento, andate pure in Paradiso.
COMMENTO ALL’EDIZIONE BLU RAY MIDNIGHT FACTORY
Pur vantando la solita robustezza tecnica audio-video, garantendo come sempre una visione filmica di massima qualità, l’edizione Midnight Factory di 31 non brilla nel suo complessivo. O quantomeno, è meno brillante rispetto agli standard con cui ormai Koch ci ha abituato. Il reparto extra, trailer a parte, è composto solo da un relativamente breve montaggio di interviste a Zombie e – in misura molto minore – la Moon, tra gli uffici di Nocturno e il festival di Sitges. Non c’è traccia del commento al film di Zombie e del corposissimo making of (oltre due ore), extra dell’edizione statunitense. Midnight cerca di rimediare con un inserto da feticismo collezionistico, una serie di card raffiguranti i villain del film.
Se da una parte va lodata l’imperterrita costanza con cui la branchia horror di Koch Media porta nel nostro mercato film che altrimenti non vedremmo in blu ray (ad esempio 31 nel Regno Unito è uscito solo in dvd), stavolta non possiamo dire di avere tra le mani un’edizione impeccabile e/o imperdibile. Esattamente come Zombie, anche la Fabbrica di Mezzanotte ha visto giornate migliori.
31
USA, 2016
Regia di Rob Zombie
Con Sheri Moon, Richard Brake, Malcolm McDowell, Judy Geeson
Aspect Ratio: 2.35:1
BD-50
Durata: 102 min
Audio: Italiano-5.1 DTS HD Master Audio; Inglese-5.1 DTS HD Master Audio
Sottotitoli: Italiano
Extra:
– Rob Zombie: Death is the only escape (17’46”)
– Trailer (2’12”)
Booklet con commento critico di Manlio Gomarasca e Davide Pulici, fondatori di Nocturno
Riccardo Nuziale