Lockdown in India
Si può solo sperare che il titolo della recensione, col suo timbro “situazionista”, non risulti fuorviante: Lockdown in India non allude infatti a qualche nuovo cine-panettone con Massimo Boldi e Christian De Sica, traslato però nell’era pandemica, bensì a un cortometraggio che dalle misure restrittive attuate anche nella penisola indiana per fronteggiare il dilagare del Coronavirus ha preso spunto in modo ottimale. In maniera tale cioè da piegare lo strumento cinematografico a veicolo di riflessioni tutt’altro che banali su quanto accaduto anche in quella parte di mondo. Vediamo intanto cos’è, nello specifico, 21… di Hitesh Liya (India, 2022), corto che abbiamo potuto visionare in anteprima su Youtube ma che verrà proiettato anche sul grande schermo, giovedì 11 gennaio 2024, al Circolo ARCI Arcobaleno di Roma. Tutto ciò nell’ambito della terza edizione di Indiecinema Film Festival, essendo stato selezionato tale lavoro per un Concorso Cortometraggi quest’anno particolarmente ricco.
20 marzo 2020, India. Lo sconcerto è nell’aria, allorché il Primo Ministro ha appena annunciato un lockdown di 21 giorni per fermare la diffusione del Coronavirus. Il film è il resoconto per immagini della vita (o meglio, dell’assenza di vita) nel desolato campus di un istituto cinematografico. Gli spazi che un tempo brulicavano di giovani studenti di cinema sono ora vuoti e apparentemente privati di qualsiasi divenire. Non vi è alcun tipo di progressione temporale. Le uniche cose che conservano una traccia vitale in questo spazio sono la fauna selvatica e gli animali del campus. Scavando entro i confini del realismo e del realismo magico, il film descrive il ciclo di vita quotidiana così ovvio e scontato del campus per un periodo di 21 giorni, attraverso un susseguirsi di riprese intriganti, montate peraltro con uno stile sorprendente e a tratti davvero geniale.
Dell’autore, Hitesh Liya. sappiamo che nel suo paese è docente cinematografico al prestigioso Satyajit Ray Film and TV Institute. Tale impronta si nota e neanche poco. Già il prologo, introdotto dalla didascalia “The Divine Intervention” (ogni capitoletto del film avrà un titolo diverso), si configura come una piccola lezione su cosa si possa ottenere, combinando scene relativamente semplici in una determinata maniera. “L’intervento divino” cui si fa riferimento qui è infatti la stentorea voce fuori campo del Primo Ministro dell’India, un esotico alter ego di Giuseppe Conte, nel momento stesso in cui anche lì si dichiarava un ferreo lockdown. Solo che, piccola traccia soavemente satirica, ad ascoltare tale proclama non vi sono esseri umani, ma come in una libera rivisitazione dell’orwelliana Fattoria degli Animali quelle stesse bestioline che prenderanno di fatto possesso del campus universitario, durante la forzata assenza degli uomini: cani, uccelli, gatti, scoiattoli, bisce d’acqua. E con umorismo sottile associato a una forte consapevolezza delle potenzialità del montaggio, il regista ha trasformato in qualcosa di esilarante le reazioni di quegli animali alla roboante voce del politico.
Nel prosieguo del film, che in appena venti minuti riesce a fotografare con implacabile nitidezza un discreto numero di situazioni, 21… esplora gli spazi ormai deserti della scuola di cinema indiana alternando la presenza delle bestioline alle geometrie solenni degli edifici, a scritte rivelatrici sui muri (laddove le preesistenti tensioni politiche non faticano ad affiorare, mentre una frase di Hitchcock riporta tutto repentinamente alla dibattuta essenza del cinema documentario) e a diversi indizi dell’attività didattica precedentemente svolta, quali posso essere bobine abbandonate, testi di teoria cinematografica rimasti a disposizione nella biblioteca e aule tristemente vuote. Vi è spazio anche per una succosa parentesi meta-cinematografica, allorché uno dei classici di Satyajit Ray (il Maestro indiscusso della cinematografia indiana cui è intitolato l’istituto) viene proiettato in una saletta naturalmente senza spettatori. Il finale poi, concepito per un’ideale chiusura “ad anello”, è tutto per loro, per quegli adorabili animaletti irretiti un’ultima volta dalla voce lontana della politica, proveniente da umani le cui reali intenzioni non appaiono sempre oneste e sincere. Una sorta di elegia del “tempo rubato” sospesa tra regno animale e antropizzazione.
Giancarlo Marmitta