Odio gli indifferenti
Non ci si può sempre voltare dall’altra parte. In certe situazioni, anzi, non lo si dovrebbe mai fare. Un cortometraggio come quello realizzato dalla giovanissima Maria Laura Moraci tale idea non si limita a esprimerla, ma la grida con forza, con sacrosanta empatia, senza rinunciare peraltro a costruirvi intorno una surreale parabola efficace anche visivamente. Sta di fatto che Eyes ha già partecipato a svariati festival, nazionali ed internazionali, suscitando un notevole interesse e racimolando anche diversi premi. Singolare è semmai per noialtri l’aver scoperto un corto del genere, che rappresenta senz’altro un pugno allo stomaco, all’interno di una cornice alquanto inusuale, in quanto votata a stuzzicare il suddetto stomaco in ben altra maniera: parliamo qui di Solstizio d’Estate, il festival enogastronomico svoltosi tra il 16 e il 17 giugno alle Officine Farneto di Roma. Proprio in dirittura d’arrivo, la sera del 17, è stato proiettato il lavoro di Maria Laura. E possiamo assicurarvi che non ha rovinato a nessuno la digestione. Al contrario, ha acceso la scintilla della riflessione.
Cominciamo infatti col dire che l’idea del corto, sopraggiunta alla stessa Maria Laura Moraci come anche ad Elisa Fois e Francesca Aledda, è in primo luogo il frutto della loro comune indignazione per un noto fatto di cronaca, espressamente citato alla fine di Eyes: la violenta e assurda morte di Niccolò Ciatti, un giovane italiano che l’11 agosto 2017 venne ucciso a calci e pugni da tre delinquenti in una discoteca nei paraggi di Barcellona, senza che nessuno dei peraltro numerosi presenti intervenisse in suo aiuto. Molti, anzi, si limitarono a filmare morbosamente e vilmente la scena, invece di contribuire a interrompere l’odioso pestaggio, destinato così a concludersi tragicamente.
Questo avvilente episodio improntato a vigliaccheria, indifferenza, assenza dei più basilari principi di solidarietà, fa purtroppo rima con tanti altri analoghi. Bene hanno fatto, quindi, l’autrice e la sua crew a mettere in scena qualcosa che ricordasse in qualche modo l’accaduto, puntando i riflettori non tanto sulla violenza in sé (qui lasciata volutamente fuori campo), quanto piuttosto sul ruolo di chi vi assiste passivamente, senza fare alcunché per farla terminare il prima possibile.
Alle buone intenzioni non sempre però si accompagna un’adeguata resa cinematografica. La Moraci, che di formazione è un’attrice (e la ritroviamo infatti nel folto drappello degli interpreti), ha dimostrato pur così giovane di avere già una discreta cognizione del set, del linguaggio cinematografico, nonché della possibilità di inserire elementi simbolici e metaforici, anche qualora si abbia voglia di denunciare una problematica concreta, reale. In Eyes una serie di personaggi chiusi ognuno nel loro piccolo mondo, nella propria visione asfittica ed egoistica della collettività, si ritrova a una fermata dell’autobus poco prima di un tentativo di stupro. In quei pochi istanti ciascuno di loro avrà modo di esibire il proprio cinismo, il proprio disinteresse per gli altri. E vi è un’invenzione scenica tanto semplice quanto simbolicamente perfetta, con cui si è voluta rappresentare la loro condizione: gli occhi finti pitturati sulle palpebre chiuse, come a sottolineare (non diversamente da un contrappasso dantesco) la sostanziale cecità dei protagonisti, che brancolano in un mondo di piaceri effimeri senza alcuna cognizione reale, sincera, del mondo circostante e dei più elementari valori. Ma di fronte al dramma incombente qualcuno di loro avrà il coraggio di scuotersi ed aprire, finalmente, gli occhi?
Da segnalare inoltre l’eccellente fotografia di Daniele Ciprì, cineasta di spessore che più di una volta ha dimostrato di saper lavorare bene con le nuove leve del cinema italiano, come si era visto già per Buffet, ad esempio. Merito di un corto come Eyes e della sua giovane autrice è perciò non soltanto l’aver preso di petto un tema attuale, importante, ma anche l’averlo fatto studiando una forma cinematograficamente avvincente per raccontarlo e ponendovi, in coda, un messaggio propositivo che agli spettatori più sensibili (e forse anche ad altri) non sarà certo sfuggito. Poiché chiudere gli occhi e voltarsi dall’altra parte qualche volta equivale a essere complici.
Stefano Coccia