Tra lirica e interviste, il racconto dei minatori emigrati in Lorena
Il film Tempi nuovi (Temps Noveaux) del regista francese François Caillat, presentato in anteprima alla XX Festa del Cinema di Roma nella sezione Special Screenings, intreccia documentario e opera lirica per raccontare la storia degli emigranti italiani in Lorena del Novecento e dei loro discendenti attuali.
Tempi nuovi, sceneggiato a quattro mani con Cristina Comencini, scorre su due filoni narrativi: il passato diventa opera, composta da Carlo Crivelli su libretto di Valerio Magrelli, mentre il presente assume la tipica forma documentaristica, girato a Villerupt, con interviste ai nipoti e pronipoti dei minatori di allora.
Tra Villerupt, Audun Le Tiche, Micheville, nel secolo scorso migliaia di lavoratori italiani, provenienti soprattutto dalle Marche, l’Abruzzo, la Ciociaria, sono emigrati per lavorare nelle miniere e nelle acciaierie. Il regista, nato proprio a Villerupt, al confine tra Francia e Lussemburgo, torna in Lorena e scopre un mondo nuovo: “avevo lasciato una città operaia, il lavoro di ferro e acciaio, i canti dei minatori italiani… ho scoperto al loro posto finanza e intelligenza artificiale. I discendenti dei minatori sono diventati banchieri e informatici. Del passato non resta che una leggenda cantata”. Ed è proprio così che Caillat sviluppa la sua opera: cantando il passato e raccontando il presente, come un arazzo che intreccia cinematografia e opera lirica.
Il “cineasta della memoria”, come viene definito, ricostruisce la storia di una famiglia di minatori italiana seguendone le tracce fino al presente, ai nipoti oggi impiegati in Lussemburgo in settori completamente diversi, dalla finanza allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, mostrando altresì la trasformazione sociale ed economica di un microcosmo ben definito. Dalla società patriarcale agli scioperi e le lotte di classe, dalle morti in miniera e per malattie ad essa legate (esposizioni tossiche e non solo), oggi i discendenti di quei minatori sperimentano nuovi legami sociali e l’incidenza della malattie psicologiche che hanno soverchiato quelle fisiche: dal burn out (derivante dal sovraccarico lavorativo) al bore out (sindrome da esaurimento causata da una mancanza cronica di stimoli e sfide nel lavoro, dalle mansioni troppo semplici e ripetitive alla mancanza di crescita professionale), la rivoluzione tecnologica del lavoro ha portato nuove patologie. La memoria operaia lascia il posto alle innovazioni sempre più veloci: se una volta si costruiva su lunghissimo termine (“mio nonno ha lavorato sull’acciaio che è servito per costruire la Torre Eiffel”), per opere che sarebbero durate più di cent’anni, oggi si fanno software che saranno obsoleti nell’arco di dieci anni; un senso di fugacità, di essere delebile nel tempo, di non poter lasciare un’impronta di sé che resti, è un po’ il senso effimero e labile del nostro secolo, della nostra civiltà, che non potrà che rafforzarsi con il diffondersi dell’intelligenza artificiale. Quali professioni spariranno, quali rimarranno, quali nuove opportunità nasceranno? Tempi nuovi, intrecciando memoria collettiva e percorsi individuali, affresca la trasformazione radicale dei legami sociali e del lavoro nell’arco di poche generazioni, e con essa la fine di una civiltà; interrogandosi sul significato delle lotte del passato e sulla loro eco nel mondo contemporaneo, e su quale sia il futuro lavorativo oggi, all’alba dell’espansione incombente dell’intelligenza artificiale.
Michela Aloisi









